Politica

Dior omaggia la donna E la Francia s'inchina al cavaliere Chiuri

Durante le sfilate di Parigi, alla stilista italiana è stato conferito il prestigioso riconoscimento della Legion d'honneur

di

Parigi «Non mi sono mai sentita né uomo né donna, solo persona» racconta Maria Grazia Chiuri nell'ultima notte di quiete prima della giornata campale che ha vissuto ieri nella storica sede di Dior al 30 di Avenue Montaigne. Qui alle 19,45 in punto la designer romana riceve le insegne di cavaliere dell'ordine nazionale della Légion d'honneur da Marlene Schiappa, Segretario di Stato francese per le pari opportunità. È un momento d'intensa commozione per la designer e per i suoi familiari ma anche per gli italiani presenti alla cerimonia (tra gli altri spiccano Valentino e Giancarlo Giammetti) decisamente fieri della lezione di eleganza e civiltà che la signora ha impartito al mondo riportando la questione femminile al centro del dibattito della moda e della società. L'ha fatto anche stavolta con una collezione couture per il prossimo inverno che passerà alla storia come una perfetta opera al nero in cui riecheggiano spunti culturali di ogni tipo. La sfilata si svolge il pomeriggio nelle stesse sale dove il 12 febbraio 1947 ha debuttato Christian Dior con la fulminante intuizione del New Look. Il set è incredibilmente bello ed elaborato grazie alla scenografia curata dall'artista femminista Penny Slinger cui si deve un gigantesco albero grigio installato al centro della scalinata, le opere con misteriosi soggetti femminili che ricoprono interamente pareti e soffitti delle varie sale e l'ultimo dei 65 modelli in passerella: una scultura a forma di edificio intorno al corpo della modella. Maria Grazia parla infatti dell'abito come habitat del corpo e della sua recente scoperta dei libri di Bernardo Rudofsky, architetto e intellettuale di origini austro-ungariche che nel 1947 cura una mostra per l'apertura del MoMa di New York sul tema della modernità dell'abito.

La prima uscita è infatti una splendida gonna a peplo bianca sotto alla T-shirt con la scritta «Are clothes Modern?» che è anche il titolo del primo libro di Rudofsky. Da qui in poi comincia un tripudio di modelli neri, uno più bello dell'altro soprattutto nel caso dei pepli drappeggiati sul corpo con rara maestria o anche semplicemente evocati nella raggiera di minuscole piegoline che si formano naturalmente spostando l'allacciatura di un cappotto quasi sotto l'ascella. Chiuri pensa infatti alle Cariatidi, ovvero le nove meravigliose statue femminili che dal V secolo a. C. sorreggono l'intera struttura dell'Eretteo di Atene. A noi in certi momenti viene in mente la ieratica eleganza vittoriana dei protagonisti della serie televisiva Taboo in onda su Netflix. Alcuni modelli sono davvero da urlo tipo la tunica in velluto Fortuny con le maniche strette e tutta l'ampiezza sulla schiena. Un altro abito in velluto nero è l'indimenticabile contraltare del meravigliso peplo argentato che prelude alle ultime uscite in cui compare il colore: rosso come la passione, rosa come la carne e blu come il cielo di notte. Un po' troppe e un po' funeree le velette, ma tutto il resto top. Riuscitissimo il debutto di Daniel Roseberry da Schiaparelli. Il ragazzo viene dal Texas, è figlio, fratello e cognato di preti episcopali, ha vissuto per quasi tutta la vita a New York lavorando per dieci anni con Thom Browne, il Tim Burton della moda internazionale. Lo scorso dicembre Diego Della Valle, patron dello storico marchio francese anche se fondato dall'italianissima «Schiap», gli ha chiesto un proposal. Daniel ha riprodotto in sfilata questo momento con lui al tavolo da disegno, le cuffie in testa con la sua playlist preferita mentre le modelle prendono vita come in un sogno proprio da quei disegni. Alcuni pezzi sono bellissimi: una gonna a vita alta color carne, un abito surrealista decorato da unghie finte e catenelle, la collana fatta con un pitone a grandezza naturale in metallo e cristallo, la giacca verde militare con due ali di ruche sulle spalle.

C'è una netta distinzione tra giorno, sera e mondo del sogno dove succedono cose pazze e meravigliose tipo l'abito coccinella, quello camaleonte e un tripudio di volute in raso duchesse di sicuro effetto. Certo il surrealismo è di gran moda a Parigi e anche Antonio Grimaldi fa uno splendido lavoro su questa corrente artistica di cui Elsa Schiaparelli fu musa e indiscussa protagonista. Il bravo couturier campano parte però da Mae West nel film I'm not an Angel con Cary Grant per poi approdare alla celebre stanza che Dalì ha costruito negli anni Trenta sul volto della diva americana. Le sue labbra diventano un divano rosso come il modello a cappa in georgette e chiffonn interamente plissettato, i sui capelli sono una tenda d'oro drappeggiata come i sublimi abiti da sera e tutto ha un'idea di cerchi, volute e curve surreali tanto sono belle. Fantastica anche la sfilata di Maurizio Galante che del Messico coglie alcuni aspetti interessanti per poi piegarli al suo stile.

I pon pon della gonna messicana diventano quindi strutture che volano nei capi, mentre il Resplandor che nel '600 era un abito tradizionale da bambini è una stupenda cappa-scapolare.

Commenti