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Dire clandestino è reato. I giudici taglialingua condannano i leghisti

Il Tribunale di Milano impone al Carroccio di risarcire due associazioni pro-migranti

Dire clandestino è reato. I giudici taglialingua condannano i leghisti

«Clandestini»? No, «richiedenti asilo». E per aver utilizzato il primo termine, dichiarato «discriminatorio» e «denigratorio», la Lega Nord è stata condannata a pagare i danni morali (10mila euro più le spese legali) a due associazioni che assistono gli immigrati. La sentenza della Prima sezione civile del tribunale di Milano, datata 22 febbraio, oltre a far discutere potrebbe diventare un precedente pesante.

Partiamo dal precetto enunciato dal giudice Martina Flamini. La tutela della «pari dignità, nonché dell'eguaglianza delle persone» è «prevalente» sulla libertà di espressione, nonostante si tratti in entrambi i casi di principi costituzionali. Perché il primo è, scrive il giudice, «fondante la stessa Repubblica». Ed ecco i fatti. Il primo aprile 2016 la Prefettura di Varese invia a Saronno 32 profughi, che saranno ospitati in una struttura della Cooperativa Intrecci affidata alla Caritas. Qualche giorno dopo, il 9 aprile, il Carroccio organizza una manifestazione di protesta e affigge in città 70 manifesti. Questi gli slogan: «Saronno non vuole i clandestini», «Renzi e Alfano vogliono mandare a Saronno 32 clandestini: vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni ed aumentano le tasse», «Renzi e Alfano complici dell'invasione». Naga (Associazione volontaria di assistenza socio sanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti) e Asgi (Associazione degli studi giuridici sull'immigrazione) accusano appunto il partito e il segretario cittadino Davide Borghi di discriminazione e danno avvio alla causa. «La qualifica clandestino - denunciano le associazioni - contraddistingue un comportamento delittuoso (...) e indica un soggetto presente abusivamente sul territorio». I limiti del diritto di critica politica sarebbero quindi stati «superati» e gli immigrati in questione avrebbero subito pure un danno nella possibilità di partecipare alla vita pubblica. I leghisti si difendono in tribunale sostenendo che la protesta aveva «una chiara valenza politica», che non usava «espressioni discriminatorie per ragione di razza o di origine etnica» e che l'obiettivo non erano gli stranieri ma Renzi e Alfano. Ancora: «Il termine clandestino - spiegano alla Lega - si riferisce agli stranieri che entrano nel Paese in modo irregolare o che, entrati regolarmente, vi si trattengono dopo la scadenza dell'autorizzazione al soggiorno ed è pertanto privo di offensività discriminatoria». È inoltre «utilizzato nel linguaggio comune». Si è comunque trattato di «libertà di espressione».

Nel dar ragione ai ricorrenti, il giudice stabilisce che è stata violata la dignità della persona ed è stato creato un «clima intimidatorio e ostile». Scrive il giudice: i richiedenti asilo non sono clandestini. Il termine «clandestino» è «gravemente offensivo e umiliante», ha «valenza denigratoria e viene utilizzato come emblema di negatività». Non solo: «Contraddistingue il comportamento delittuoso (punito con una contravvenzione) di chi fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione» della legge. Si riferisce inoltre «ad un soggetto abusivamente presente sul territorio nazionale ed è idoneo a creare un clima intimidatorio (implicitamente avallando l'idea che i clandestini, non regolarmente soggiornanti, devono allontanarsi)». Dure le proteste leghiste. La sentenza è per il capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga una «deriva autoritaria». Così il leader Matteo Salvini: «Siamo alla follia. Continuerò a usare la parola bandita». E Roberto Maroni: «Pazzesco.

Ormai i veri clandestini (a casa nostra) siamo noi».

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