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Direzione Pd, Renzi ai suoi: "Non mi serve un mandato"

Nella sede del Nazareno i dirigenti del Pd discutono delle prossime mosse del governo dopo il tagliando fatto all'asse Renzi-Berlusconi. La direzione alla fine non vota

Direzione Pd, Renzi ai suoi: "Non mi serve un mandato"

"Questi sono tre mesi decisivi - dice Matteo Renzi ai colleghi membri della direzione nazionale Pd -. Sulle riforme la partita smette di essere verbale e passa agli atti parlamentari". Il premier spiega che con Forza Italia è stato raggiunto l'accordo che "se in sede di voto non saremo d'accordo su tutto, andremo comunque avanti. Questa legge elettorale garantisce governabilità e rappresentanza". E poi ancora, con malcelata soddisfazione: l'Italicum è "un passo storico in linea con la storia del Pd perché si definisce un vincitore, una lista vincitrice. In questo modo diventiamo istituzionalmente un partito comunità che non solo punta alla maggioranza del paese ma maggioranza e minoranza trovano un modo di rispettarsi e stare insieme e indipendentemente dal concetto di disciplina interna".

La riunione della direzione potrebbe concludersi senza un voto finale, dato che già nella direzione precedente si era votato sullo stesso argomento. Lo ha proposto il presidente dell'assemblea Pd Matteo Orfini dopo l'intervento di Renzi. E la direzione accoglie la proposta. Il partito, dunque, non si esprime sulla relazione del segretario. E così non emergono spaccature, piccole o grandi che siano. Del resto Renzi aveva detto chiaramente che il voto non era necessario: "Ho deciso di tornare in direzione" dopo l'incontro sulla legge elettorale "perché tutti i passaggi li abbiamo fatti in direzione, indipendentemente che stasera si decida di ratificare la mia relazione con un voto o meno. Se non votiamo non cambia niente perché la direttrice di lavoro è esattamente nel solco dei mandati avuti".

"Fuori c'è chi cerca di aizzare la piazza, e ce ne sono tanti - prosegue Renzi riferendosi alla riforma del mercato del lavoro -. Chi ci prova però rischia di esserne sommerso". Renzi precisa di non riferirsi al sindacato. "In tanti stanno cercando lo scontro" ed "emergono in modo molto significativo alcune spinte legate alla disperazione sociale, alla provocazione antagonista". Sul lavoro Renzi va avanti a testa bassa: l'obiettivo è "avere l'entrata in vigore del jobs act il primo gennaio". Per questo, spiega, si deciderà nelle prossime settimane se si metterà la fiducia o no sul testo della delega. In commissione ora si dovrà dunque decidere se fare modifiche in tempi rapidi o mettere la fiducia.

"C'è un problema di validità politica sostanziale, non formale, di questa direzione, che è stata convocata con così poco anticipo", argomenta Stefano Fassina. "Non abbiamo bisogno di fare caricature, nessuno di noi pensa che questa legislatura non debba fare nulla, ma vedendo la determinazione a chiudere la legge elettorale e avendo letto la legge di stabilità qualche dubbio sul fatto che si voglia andare a votare viene. Del resto ho visto commenti attribuiti all'entourage del premier in questo senso".

Molto polemico Pippo Civati: "Non c'era l'urgenza, non capisco perché convocare una direzione d'urgenza, non c'erano novità, non capisco perché venire così", dice uscendo dalla sede del partito. "Ormai non distinguo più tra ultimatum e conversazione", e segnala come adesso "la questione fondamentale sia la legge di stabilità. Ci sono un sacco di buchi, ci sono cose palesemente sbagliate.

Se ne possiamo discutere volentieri, abbiamo presentato 8 emendamenti, se ne può discutere?".

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