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Il disastro Raggi è il fallimento di Renzi

Non confondiamo il sindaco d'Italia e il sindaco di Roma. Olimpiadi e grandi opere: questo è il fallimento del premier

Il disastro Raggi è il fallimento di Renzi

Sa tutto su Garibaldi e sulle imprese garibaldine: come l'Eroe dei due mondi, Francesco Paolo Tronca, già prefetto di Milano e, fino all'inizio ddell'estate, commissario straordinario di Roma sulle macerie dell'ex sindaco Ignazio Marino, è preparato alle avventure spericolate. Prototipo dell'alto funzionario dello Stato, serio ed affidabile come i grand commis piemontesi di una volta, a parlarci, sembra un po' timido, ma, in effetti, è il classico prefetto di ferro e, a Milano, ha superato egregiamente la prova del nove dell'Expo. Una volta approdato a Roma, anche Tronca ha, però, dovuto subire il suo Aspromonte: non ne è uscito con le ossa rotte, ma poco ci è mancato e una sera mi chiamò per confessare come, grazie alla «cura-Marino», la Capitale fosse quasi ingovernabile.

Guidare, oggi, Roma è un'impresa che fa tremare i polsi a tutti. Tutto questo per dire, che aver fatto sedere la Raggi sul più alto scranno del Campidoglio, è stata una prova di demenza collettiva: in tre mesi, con quella faccia da madonnina, l'avvocato delle Cinque Stelle è stata capace di inanellare tutta una serie di colossali errori, a conferma che il problema non è solo lei, ma i grillini che l'hanno scelta come candidata sebbene non avesse nessuna credenziale per il ruolo. Tra assessori indagati, capi di gabinetto trombati e Olimpiadi incredibilmente buttate al vento, il debutto della «sindaca» è stato, quasi, da Guinness dei primati, ma trovo anche maramaldesca la crocefissione che è stata subito messa in piedi contro la prima cittadina. Non ha avuto il tempo di sedersi a Palazzo Marino che la parola d'ordine è stata una sola: sparare sulla Raggi. Il motivo dell'aggressione a 360 gradi? Semplice.

Virginia, con quegli occhioni trasognati, si è immediatamente rivelata un clamoroso assist per Renzi. «Non si fermano le grandi opere, si fermano i ladri - ha ribadito ieri il premier - Se invece dici no alle Olimpiadi, se preferisci non metterci la faccia hai sbagliato mestiere». Renzi ha capito l'antifona e ha trasmesso l'ordine: detto e fatto, le tv e i quotidiani renziani hanno trovato il bersaglio giusto per sviare l'attenzione degli elettori dalla realtà, un Belpaese che è in caduta libera tra economia in perenne recessione, lavoro che non c'è e tasse in arrivo. Ho assistito, in queste settimane, a scelte giornalistiche perlomeno discutibili, come le aperture di certi telegiornali della Rai sulla crisi della giunta capitolina come se gli errori di Virginia fossero una questione di Stato. Di questo passo, finiranno per dire che se piove è colpa della Raggi che, per giunta, voterà «No» al prossimo referendum costituzionale quando finalmente ci sarà.

È vero che l'Italia è sempre stata un po' romanocentrica, ma continuo a pensare che questioni di Stato siano, semmai, gli errori commessi, da oltre due anni, dal giovane Matteo. Qui si sta facendo un po' di confusione tra il sindaco d'Italia e il sindaco di Roma. È sbagliato, ad esempio, addossare alla first lady capitolina tutte le colpe sulla bocciatura delle Olimpiadi. Se Renzi avesse voluto, avrebbe potuto esternare contro la scelta della giunta, ma si è, invece, limitato a dire: «Capitolo chiuso». Un modo come un altro per lavarsene le mani e addossare ad altri tutte le responsabilità di una scelta che, al di là delle opportunità e degli investimenti necessari, è la conferma dello stato fallimentare in cui versa un intero Paese e non solo la sua capitale.

Se le Olimpiadi di Roma del 1960, testimonial Livio Berruti, furono il suggello di un'Italia che era stata capace di risorgere miracolosamente dalle rovine della guerra, il «non possumus» di oggi è, semmai, la conferma, Raggi o non Raggi, del fallimento della narrazione renziana.

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