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La Ditta già in fibrillazione per gli arrivi dei responsabili

La strategia del premier mette in allarme la sinistra del partito: gli ingressi dei montiani e degli ex grillini rischiano di rispostare l'asse al centro. D'Alema avverte: "No agli Scilipoti"

La Ditta già in fibrillazione per gli arrivi dei responsabili

Matteo Renzi si allarga, è risaputo. Ma dall'elezione di Mattarella in avanti, si rischia la tracimazione, l'esondazione, lo straripamento. Non solo in tv, soprattutto tra i banchi parlamentari: sul carro arrivano i montiani, e forse anche altri «responsabili». Segnale chiaro, per quanto per ora ininfluente dal punto di vista dei numeri. «Cosa cambia? Facevano già parte della maggioranza», sottolinea Paolo Corsini, uno dei senatori più lucidi tra quelli che in Senato si sono opposti alle modalità brutali (prendere o lasciare) di certe riforme renziane.

Non sfugge però che un Pd «pigliatutto» cambia la possibilità della sinistra di incidere e contare. Sull'uscio di casa ci sono anche molti ex grillini e persino qualche forzista. «Se tra di essi ci fosse Verdini - mette le mani avanti Massimo Mucchetti - direi che sarebbe assai imbarazzante per il segretario far entrare un uomo che deve rispondere dell'accusa di bancarotta del Credito cooperativo. Anche in questo caso, comunque, poco cambia: i pasdaran del Nazareno votavano già in linea con i renziani».

Il pericolo di trasmutazione genetica c'è, se ne avvede per tempo Massimo D'Alema, che in un'intervista al Messaggero ha lanciato l'allarme: «Non si arruolino Scilipoti di turno, il governo non può puntare a sostituire il Patto del Nazareno con il trasformismo parlamentare». Preoccupato l'ex leader Pier Luigi Bersani: «Io non sono affatto per un Pd più stretto ma, se lo si deve fare più largo, ragioniamo politicamente. Non può essere solo uno spostamento di persone... Un conto sono le scelte di tipo personale, opportunistico, secondo me sempre disdicevoli, un conto è quando c'è un passaggio politico». Pure Mucchetti e Corsini distinguono fior da fiore. «Uno come Ichino, per esempio, è una persona stimabile che può dare contributi importanti, che siano condivisibili o meno. Tutt'altro paio di maniche è quando il ripensamento è dettato da convenienza personale». Così, per Corsini, l'importante è che nella sua azione «il Pd continui a fare il Pd e non il PdR, il partito di Renzi». Non si fa illusioni Stefano Fassina, che considera «fisiologico» l'arrivo dei montiani, visto che la riforma del lavoro «è ormai in gran parte coincidente con l'agenda Monti. Il punto sta nell'asse politico e il profilo programmatico del partito. Ma questo da tempo».

L'asse si sposta verso destra, è innegabile. Gli ex prodiani (ora bindiani) come Franco Monaco non ci stanno: «Ci si risparmi lo spettacolo non esaltante dei cosiddetti responsabili. Il partito a vocazione maggioritaria non può essere confuso con il partito pigliatutto. I numeri non sono tutto». Non a caso, invece, Renzi ricorda a ogni pie' sospinto che «si va avanti, i numeri ci sono». Con lui gran parte del partito. I Giovani Turchi, che pure si erano voluti distinguere nel voto a Mattarella, ritengono che il «segnale chiaro sia rivolto a Forza Italia, e alcuni ritorni o ripensamenti non mutano il quadro», come spiega Antonio Boccuzzi. Così come non cambieranno le possibilità di frenare le riforme in corso d'approvazione. «Spero che Renzi si renda conto che l'idea di comandare con continui appelli all'obbedienza è rischiosa», è stato il monito di D'Alema. Ma ormai l'appello di Gianni Cuperlo al premier suona come una tromba in un quartetto d'archi: «Cambiamo pure l'Italia, ma facciamolo con la sinistra, Matteo». E il disincanto di Pippo Civati come il grido dell'ultimo dei mohicani : se la rottura del Nazareno e le conseguenti «transumanze fossero una cosa seria, si sarebbe già aperta una crisi».

Ma l'aria non è quella, né si può dire: piove, governo ladro.

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