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Domani l'Ungheria vota per dire no agli immigrati

Orban sfida l'Europa

Domani l'Ungheria vota per dire no agli immigrati

Era, agli inizi della carriera politica, un liberale doc, è diventato un nazionalista conservatore definito da molti «il talismano della destra europea» o il «capofila degli euroscettici». Domani Viktor Orbàn, primo ministro d'Ungheria dal 1998 al 2002 e poi dal 2010 ad oggi, lancerà la sua ultima sfida a Bruxelles: un referendum con cui chiede agli elettori di respingere il meccanismo per un'equa distribuzione dei profughi tra i 27 membri dell'Unione escogitato dal Consiglio europeo, come, stando ai sondaggi, vuole il 72% della popolazione. Se la consultazione raggiungerà il quorum del 50% degli aventi diritto, l'Ungheria si chiamerà formalmente fuori dal piano di ripartizione e accetterà solo quei profughi che, a suo giudizio, hanno diritto all'asilo politico. Nell'ultimo anno, sono stati 520, mentre oltre 500mila sono stati coloro che, prima della chiusura della rotta balcanica e della costruzione dei «muri» ai confini con Serbia e Croazia, sono transitati dalla stazione di Budapest in rotta verso il Nordeuropa.

Orbàn non ha risparmiato le parole per convincere i dubbiosi a votare no. Ecco alcuni degli slogan che riassumono il suo pensiero: «Per noi ogni immigrante, soprattutto se musulmano, rappresenta una minaccia per la sicurezza»; «Per l'Ungheria l'immigrazione non è una soluzione ma un problema, non una medicina ma un veleno, non ne abbiamo bisogno e non la tollereremo»; «Accettare il flusso migratorio nella sua forma attuale è come andare alla guerra con le mani alzate»; «O proteggiamo la nostra casa, o la perderemo»; «Il piano di distribuzione dei migranti è un complotto per esportare terroristi e criminali nell'Europa orientale»; «La decisione della Merkel di aprire la porta ai rifugiati è stato un atto di imperialismo morale». La soluzione per la verità piuttosto irrealistica - proposta da Orbàn è di costruire un gigantesco campo di raccolta in Libia, deportarvi tutti gli immigrati e poi dividere laggiù chi ha davvero diritto d'asilo da chi deve essere rimpatriato. Dall'attentato a Charlie Hebdo, il premier ungherese forse anche memore di un secolo e mezzo di occupazione turca - si propone all'Europa come unico vero difensore dei valori cristiani, anche se (per ora) i musulmani residenti in Ungheria rappresentano solo lo 0,2% della popolazione, e quelli dei suoi alleati nel cosiddetto gruppo di Visegrad Polonia, Slovacchia e Cechia - non sono molto più numerosi.

Inutile dire che a Bruxelles sono furiosi per questo referendum, anche perché temono che la crociata di Orbàn (cui una volta Juncker, salutandolo, si è rivolto con un «buongiorno, dittatore») non si fermerà qui. Dopo avere introdotto nel 2011 modifiche costituzionali che limitano la libertà di stampa, i poteri della Corte costituzionale e l'autonomia del potere giudiziario, il premier si è fatto promotore di una specie di controrivoluzione culturale, che punta a modificare la natura stessa della Ue. Il suo obbiettivo è quello di una «democrazia illiberale» (sic), che riconosca il primato della collettività sull'individuo. Nei suoi discorsi, non nasconde né il suo disprezzo per gli eurocrati, né la sua preoccupazione per quella che chiama la decadenza morale dell'Europa. Tra le sue proposte, c'è una improbabile (per non dire impossibile) modifica dei trattati, che restituisca alle singole nazioni una parte dei poteri ceduti. Naturalmente, le probabilità che una nazione marginale come l'Ungheria, con i suoi 10 milioni di abitanti, riesca a imporre la propria visione dell'Unione è minimo.

Ma, con il referendum di domenica, Orbàn potrebbe innescare un processo dagli esiti imprevedibili.

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