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Il doppiopesismo di casa nostra persino davanti al sangue

Il doppiopesismo di casa nostra persino davanti al sangue

Ci risiamo con i compagni che sbagliano. Che siano i brigatisti negli anni di piombo o un fan armato di Bernie Sanders nell'America del Duemila, riaffiora puntuale il vizietto progressista di considerare la violenza politica di colore affine un po' meno grave di quella di destra. Nel gennaio 2011 un fanatico anarcoide partorito dall'America profonda, quella che odia il governo federale in tutte le sue incarnazioni, svuotò il caricatore di una Glock 9 millimetri sulla folla a un comizio politico. Uccise sei persone e ne ferì altre 14 tra cui la deputata democratica Gabrielle Giffords. In un primo momento data per morta, se la cavò e divenne un simbolo celebrato dai media simpatizzanti anche in Italia. Repubblica in particolare la incoronò come vittima della resistenza «all'odio politico contro Obama». Il giorno stesso dell'attentato raccontò anche che la deputata era «nella lista nera di Sarah Palin», come a lasciar intendere che la leader dei Tea Party fosse la mandante morale dell'attentato. Passano sei anni e intanto il mondo volta pagina. Al posto di Obama, disarcionato non con un golpe ma da un voto che, per quanto discutibile si consideri il vincitore, è stato democratico, fino a prova contraria. Eppure, la stessa parte politica che si è lamentata del tentativo di delegittimare Obama insinuando che non fosse nato negli Stati Uniti, la cosiddetta birthers conspiracy theory, negando l'esito di un'elezione, si è schierata in piazza e sulle pagine dei giornali con una violenta campagna di delegittimazione contro Donald Trump. Mai si era visto un presidente uscente che restasse in campo in modo così massiccio dopo la fine del proprio mandato per cercare di affondare il suo successore come ha fatto Obama. Per non parlare della manifestazioni preventive anti Trump, scese in strada in modo preventivo per bollarlo come unfit, indegno, non adatto a governare, a priori. Un ritornello che abbiamo visto anche in Italia del resto, alla faccia del meccanismo democratico e dell'atto di fede che lo sostiene, cioè l'accettazione dell'esito delle urne da parte dello sconfitto e della sua parte politica. In questo quadro di estrema tensione politica è maturato l'attentato messo in atto da un sostenitore di Bernie Sanders, il candidato più a sinistra tra i democratici. Ti aspetteresti a questo punto una condanna del clima d'odio analoga a quella del caso Giffords. E invece stavolta «è colpa delle troppe armi». E Repubblica si preoccupa soprattutto di stigmatizzare «la destra che sfrutta l'aggressione».

Due pesi e due misure, anche di fronte al sangue.

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