Politica

Draghi lancia l'allarme: «Italia come la Brexit» Lo spread resta oltre 300

Per la Bce il nostro Paese è un fattore di rischio Boccia (Confindustria) accusa il governo

Rodolfo Parietti

Milano «È inutile suonare, qui non vi aprirà nessuno». L'incipit di Soli, una vecchia canzone di Celentano, ben si attaglia all'attuale situazione dell'Italia. Siamo infatti soli, e la Bce non muoverà un dito per darci una mano, nonostante qualche bussatina alla porta dell'Eurotower da parte di esponenti del governo gialloverde. In una conferenza stampa monopolizzata dal caso Italia, Mario Draghi ha squadernato ieri il suo personale cahier des doléances, quello in cui il Belpaese è in cima alle preoccupazioni al pari della Brexit e dei dazi trumpiani. È il trittico di criticità in grado di azzoppare la crescita nell'eurozona, proprio ora che il quantitative easing va verso il pensionamento e sulla penisola infuria parimenti il duello aspro sulla manovra tra l'esecutivo e Bruxelles e la tempesta sugli spread.

L'ex governatore di Bankitalia si è detto «fiducioso, non molto fiducioso» che alla fine si raggiungerà un compromesso con l'Unione europea. «Anche io sono per un accordo, ma sulle nostre posizioni», la replica del vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini. Anche se le parole di Draghi hanno abbassato lo spread sotto quota 310 e permesso a Piazza Affari di guadagnare l'1,78%, la sottolineatura volutamente posta sul «non molto fiducioso» suona di ottimismo a scartamento ridotto. E non potrebbe essere altrimenti. Gli inviti a moderare i toni, rivolti anche ieri, sono finora caduti nel vuoto. E, in ogni caso, meglio sarebbe non prestare il fianco ai mercati con affermazioni che possono «mettere in discussione il framework costitutivo dell'Europa». Tipo queste di ieri del ministro per gli Affari europei, Paolo Savona: «Se lo spread ci sfugge, noi non riesamineremo la manovra, ma il contesto nel quale ci poniamo». La possibilità di Italexit si paga sotto forma di innalzamento dei differenziali di rendimento tra i Btp e i Bund tedeschi. Draghi non ha idea se lo spread arriverà a 400 punti («Non ho la palla di cristallo»), ma sa perfettamente i danni che sta già provocando alle banche e in un futuro prossimo anche a imprese e risparmiatori. Spiega: «Questi bond sono nei portafogli delle banche. Se si svalutano, impatteranno sul livello di capitale delle banche». E se il capitale delle banche italiane si indebolisce, «le condizioni di finanziamento si indeboliscono. E tutto questo si tradurrà in meno prestiti». Sull'argomento, il numero uno di Confindustria, Vincenzo Boccia, è ancora più diretto: «Non si può governare il Paese dicendo che dello spread non te ne frega niente».

Anche perché il conto rischia di essere salato, ed eventuali correzioni della manovra potrebbero risultare tardive. A quel punto, l'Italia si troverebbe senza paracadute. Pensare a un intervento risolutore della Bce, come traît-d'union tra governo e Ue, è impossibile: «Non spetta alle banche centrali un ruolo di mediazione. Si tratta di un tema fiscale», non di carattere monetario, ha detto Draghi. Dal momento che il trattato della Bce è focalizzato sulla stabilità di prezzi e «non sul finanziamento del deficit», è inimmaginabile che la banca centrale pieghi le proprie politiche alle esigenze dell'Italia. Inoltre, Francoforte può aiutare i singoli Stati solo a una condizione: «Per interventi in singoli Paesi - ricorda il leader dell'istituto di Francoforte - c'è lo strumento degli Omt», l'unico che consentirebbe all'Eurotower di acquistare i nostri titoli pubblici e di silenziare quindi lo spread. Ma a carissimo prezzo.

Significherebbe accettare il commissariamento dell'Italia, con tanto di troika insediata a Roma e vincoli Grecia-style così stringenti da far apparire una passeggiata di salute l'austerity di Mario Monti.

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