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Dubai non vuol più imitare l'Occidente e cancella l'inglese in strade e quartieri

Per compiacere i sauditi toponomastica rifatta. E i turisti se la svignano

Dubai non vuol più imitare l'Occidente e cancella l'inglese in strade e quartieri

Quando vent'anni fa lo sceicco di Dubai Rashid Al Maktoum mandò alle stampe «My Vision Challenges in the Race for Excellence» il turismo doveva rappresentare lo sguardo al futuro degli Emirati Arabi, costretti a diversificare gli investimenti per far fronte alle sempre più modeste riserve di petrolio (in esaurimento entro il 2060). Da qui l'idea di ridisegnare Dubai e Abu Dhabi sul modello Las Vegas, favorendo la nascita delle isole artificiali Palm Islands e The World, o l'edificazione di alberghi extra lusso (il Burj Al Arab a forma di vela) e di grattacieli (il Burj Khalifa, 829 metri). Da un paio di mesi a questa parte però la parola d'ordine è cancellare l'inglese da qualsiasi insegna per tornare alle origini arabe nonostante il 90% della popolazione degli Emirati provenga dall'estero. Quanto sta accadendo non è casuale, ma arriva da un impegno politico intrapreso con la vicina Arabia Saudita in un momento particolarmente delicato per la regione. Gli Emirati, fin dalla loro costituzione nel 1971, hanno sempre mantenuto e alimentato una politica indipendente dal fratello maggiore delle monarchie petrolifere. Si sono dissociati dal wahabismo, l'islam più radicale praticato dalle parti di Riyadh, per strizzare l'occhio al turismo occidentale. Oggi però gli scenari sono cambiati e gli Emirati, potenza anche nel campo dell'aviazione civile con Etihad Airways (che controlla Alitalia), temono di dover fare i conti con la Primavera araba e con un fronte giovanile che vorrebbe cancellare la monarchia. Khalifa bin Zayed Al Nahyan, padre padrone del Paese, non ha potuto fare altro che chiedere aiuto a re Salman, appoggiando persino l'intervento militare nello Yemen che ad oggi è costato la vita a 106 soldati. Il progetto di ritorno alle origini è stato siglato cambiando il nome della superstrada che collega il mare al centro di Dubai. Da agosto si chiama King Street Abdulaziz al Saud Bin Salman, in omaggio al monarca dell'Arabia Saudita. Da quel momento la toponomastica si è sottoposta a trasformazioni radicali. E il caso del Tourist Club uno dei più antichi quartieri di Abu Dhabi, costruito negli anni Settanta e rinominato Al Zahiyah (in arabo, «il colore»). Il quartiere Tecom di Dubai, centro tecnologico all'avanguardia per le telecomunicazioni, ha mutato il suo nome in Barsha («zona dei grattacieli»). Il caos regna sovrano a Dubai, dove non c'è più l'ombra delle ubicazioni Emirates Hills, The Meadows o Jumeirah Lakes Towers. Adesso portano il nome di Al Khail, Al Sohool e Al Sarayat. Per non parlare delle trascrizioni arabe nella segnaletica.Il 19% del pil dell'emirato proviene dal turismo, ma da quando l'arabo ha rimpiazzato l'inglese gli hotel hanno registrato una caduta del 31% delle registrazioni. Per il ministero del Turismo si tratta di «un calo fisiologico dettato dalle temperature proibitive».

Per la cronaca, le stesse registrate un anno fa, quando «overbooking», ebbene sì, in inglese, era la parola più diffusa.

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