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Due jihadisti arrestati a Brescia. Volevano colpire una base aerea

Un tunisino e un pakistano da anni in Italia fotografavano luoghi simbolo con messaggi minacciosi. E progettavano attentati suicidi, omicidi e attacchi a chiese

Un attacco suicida alla base di Ghedi o l'abbattimento di uno dei caccia dell'aeronautica, che ha schierato quattro Tornado contro il Califfato in Iraq. Selfie con il simbolo dello Stato islamico in giro per l'Italia da Venezia a Roma fino a Milano per lanciare il messaggio che le bandiere nere sono fra noi. Bombe artigianali, contatti con i mujaheddin in Tunisia ed il piano di addestrarsi in Siria. Gli aspiranti terroristi sono il tunisino Lassaad Briki, 35 anni ed il pachistano, Muhammad Waqas, 27, arrestati ieri a Milano e a Manerbio, in provincia di Brescia. Jihadisti pronti a tutto, che vivevano e lavoravano regolarmente a casa nostra, ma si erano radicalizzati in rete con manuali del terrore e video di Osama bin Laden. Briki pensava addirittura di incendiare la ditta che lo ha assunto in nome del Califfo. Poi cambia idea. «È una grande porta per il Paradiso» sosteneva in italiano con il complice pachistano riferendosi alla base dell'aeronautica militare di Ghedi scelta come obiettivo. «Erano talmente convinti, che negli ultimi giorni temevamo potessero passare alle vie di fatto» spiega a il Giornale Barbara Strappato della polizia postale di Roma che li ha intercettati per mesi. «Avevano fatto il giuramento al Califfato, che implica la partecipazione alla guerra santa - sottolinea - Il tunisino voleva colpire Ghedi considerandola “una porta per il paradiso”. Non escludiamo che avrebbe potuto compiere un attacco suicida». Non solo: in maggio cercava su internet informazioni sulla «tossina botulinica», la sostanza più tossica al mondo. Ed il 21 giugno aveva scovato in rete «immagini dell'aeroporto di Ghedi e soprattutto le tecniche per l'abbattimento di un aereo» si legge nell'ordinanza di custodia cautelare. Secondo il gip di Milano, Elisabetta Meyer, i possibili bersagli erano «i carabinieri e gli americani di stanza a Ghedi» e Briki si stava interessando «al reperimento di armi, in particolare kalashnikov».

Ghedi non è un obiettivo scelto a caso. Dalla base in provincia di Brescia sono partiti i quattro Tornado che operano dal Kuwait per individuare gli obiettivi da colpire dello Stato islamico in Iraq e Siria. Il pachistano viene intercettato il 16 maggio mentre spiega al telefono che il manuale jihadista «Su come sopravvivere in Occidente” ha “dimostrato (...) come si fa una bomba artigianale». Ed il tunisino rispondeva sull'utilizzo dell'ordigno: «Non adesso, un giorno sì».

I due jihadisti avevano cominciato con la propaganda del terrore. In giro per l'Italia facevano dei selfie di cartelli scritti a penna con il simbolo del Califfato, in italiano stentato: «Siamo in vostre strade. Siamo li soldati di Allah. Sosteniamoci per vincere i romani crociati. Lo Stato islamico è già nella terra di Roma». Sullo sfondo il Colosseo, il Duomo, un cartello autostradale di Venezia, una fermata della metropolitana milanese, la stazione cen

trale del capoluogo lombardo, le macchine della polizia in piazza a Brescia, la bandiera del Vaticano all'Expo. Il tunisino aveva creato l'account twitter Islamic_State_in_Rome. «L'indagine è iniziata ad aprile - ha spiegato il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli - da quando sono stati pubblicati molti messaggi di sostegno allo stato islamico e di minaccia per i cittadini e le istituzioni italiane».

Su alcuni cartelli pro Califfato la firma era Omar Moktar, il nome del ribelle libico impiccato dagli italiani negli anni del colonialismo. Waqas, il pachistano, aveva deciso di arruolarsi nel Califfato in settembre partendo per la Siria, ma prima voleva «ammazzare due tre carabinieri» o «colpire una chiesa».

Briki è nato nella cittadina di Kairouan, roccaforte dell'estremismo islamico in Tunisia. Durante il Ramadan, il mese di digiuno islamico, è tornato a casa. «In Tunisia ha avuto contatto con alcuni militanti jihadisti - rivela l'esperta della polizia postale - Gli incontri avvenivano con molta circospezione. Uno di questi gli ha detto: «Lascia il paese della miscredenza» (l'Italia, ndr) e vieni a combattere da noi». La comunicazione è avvenuta in chat, via Facebook, il 15 giugno. Da Kairouan è partito Seifiddine Rezgui, il killer della spiaggia di Sousse. La strage dei turisti è del 26 giugno ed il giorno stesso il tunisino arrestato ieri condivide un post del suo contatto nel Califfato, che inneggia al massacro. Il 3 luglio va sulla spiaggia della strage per scattare un selfie.

Pochi giorni fa torna a Milano e si dice pronto «a fare il Jjhad in Italia».

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