Politica

E adesso finiamola con questo «metodo Boffo»

di Q uesta storia del metodo Boffo, citata ogni momento per definire qualsiasi questione spinosa, comincia a scocciare. A parte che nessuno sa di che cosa si tratti, essendo diventata un luogo comune dei più triti, non esprime un bel niente oppure qualcosa di profondamente sbagliato, fuorviante. Ieri, perfino una persona perbene come Pier Luigi Bersani, trovandosi in minoranza nel suo partito a proposito dell'articolo 18 (altra faccenda stucchevole), e sentendosi messo nell'angolo da un Matteo Renzi straripante, è stato colto da una crisi di vittimismo e non ha saputo dire di meglio: sono stato fatto fuori con il metodo Boffo.

L'ex segretario del Pd ignora di che parla. Pronunciando una frase simile, oltre a dare aria ai denti, ha dimostrato di non avere argomenti da opporre alle ragioni del premier, il quale non sarà quel dio in terra che si crede di essere, ma nel caso specifico non sembra aver torto. Lo Statuto dei lavoratori, infatti, e l'articolo 18 in particolare, sono anticaglie con cui si intendono difendere alcuni lavoratori privilegiati, trascurando i meno protetti. Insomma, mentre il mondo è cambiato velocemente, i sindacati e la sinistra paleolitica (facente capo ai ruderi del Pci, Bersani, D'Alema eccetera) sono ancora convinti che il problema non sia la creazione di nuovo lavoro, bensì la tutela dei lavoratori vecchi da rendere perennemente illicenziabili qualora alle dipendenze di aziende con oltre 15 dipendenti, senza contare la manna della cassa integrazione guadagni.

Sono altresì persuasi, i rossi, che i poveracci impegnati a sgobbare nei negozi, nelle officine e nei laboratori artigianali con organici inferiori ai suddetti 15 dipendenti possano andare a morire ammazzati, chissenefrega se non sono protetti né dall'articolo 18 né dalla cassa integrazione. Si arrangino. Fra l'altro, mai nessun ex comunista si è esposto per rammentare le assurde guarentigie assicurate ai dipendenti pubblici, praticamente inamovibili dalle loro poltrone. Quando mai uno di essi è stato silurato perché fannullone? Chissà perché i compagni si affannano a garantire il pane in vita a tutti, tranne che ai poveri cristi che prestano opera in piccole aziende. I tribuni del popolazzo evidentemente hanno più a cuore le tessere sindacali e di partito piuttosto che i derelitti abbandonati a se stessi qualora la loro ditta non sia più in grado di tenerli a libro paga.

Discriminare i lavoratori, dividerli tra inamovibili e sacrificabili, è una vergogna. C'è di più. Se Renzi si rende conto dell'ingiustizia e si preoccupa del lavoro piuttosto che dei lavoratori in una botte di ferro, ecco che Bersani si scaglia contro di lui tentando - invano - di metterlo sotto. E quando lo smacchiatore di giaguari si accorge di essere stato invece sconfitto, si atteggia a capro espiatorio: afferma che l'hanno bruciato non perché abbia torto marcio, ma soltanto perché qualcuno lo ha sottoposto alla tortura catalogata alla voce «metodo Boffo».

Ma ci faccia il piacere. Bersani non è al corrente di quanto accadde al già direttore dell' Avvenire . Il quale si dimise dalla carica e subito si ritrovò sfiduciato dalla Cei. Perché? Egli era innocente come un agnellino? Di sicuro. E allora per quale motivo accettarne le dimissioni? Mah! Non è finita. Poi il dottor Boffo fu nominato direttore dell'emittente cattolica Tv2000, anche questa di proprietà dei vescovi. Ripescato tra gli eletti. Ottimo. Ne fummo felici. Trascorrono circa quattro anni e succede l'imprevisto: l'agnellino viene cacciato pure dalla televisione, da lui egregiamente diretta. Su iniziativa di chi? Mia? Nossignori. Sempre della Cei, Conferenza episcopale italiana.

E allora, caro Bersani, non dica metodo Boffo, ma metodo vescovile. E piantiamola lì.

Facciamola finita, per favore.

Commenti