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E Barcellona vuole il numero chiuso: troppe visite, stop a hotel e Airbnb

Città invasa, il sindaco firma un piano per la riduzione dei posti letto. Stretta sugli appartamenti e vietati nuovi alberghi

E Barcellona vuole il numero chiuso: troppe visite, stop a hotel e Airbnb

Il turismo è come il colesterolo: c'è quello buono e quello cattivo. Lo sanno bene a Venezia, e da qualche anno lo hanno sperimentando anche Barcellona, che tra i giovani è diventata la meta più gettonata in Europa. Dagli anni Novanta le presenze nella capitale catalana sono cresciute del 433%, fino ad arrivare alle 8,5 milioni di notti del 2016. Praticamente un carvanserraglio: senza contare i 12 milioni che hanno visitato la città in giornata sbarcando dalle navi crociera o arrivando dalle località della costa. Decisamente troppi per una città di un milione e 600mila abitanti.

Tra le Ramblas e la Gran Via ingolfate dal torme di viaggiatori cresce sempre più il movimento di cittadini che chiede di mettere un freno allo sviluppo turistico. Cittadini che dal 2015 hanno un alleato in più: il sindaco Ada Colau, eletta con la lista civica Barcelona in Comú che comprende anche Podemos e liste della sinistra ecologista. Appena insediata Ada Colau firmò una moratoria di 12 mesi sulle nuove aperture di alberghi e appartamenti turistici nella capitale catalana. Nei giorni scorsi ha approvato il Piano urbano speciale per la ricettività turistica che non solo vieta la costruzione di nuove strutture nel centro storico (alberghi, pensioni, ostelli e appartamenti turistici), ma punta decisa alla riduzione dei posti letto. Il piano divide la città in quattro zone e stabilisce dove si potranno costruire nuovi hotel e dove invece non si potranno neanche rimpiazzare i posti letto esistenti in caso di chiusura.

Il Barri Gòtic, il quartiere marinaro di Barceloneta, le viuzze di Gràcia diventeranno off limits, ma il problema resta. Perché a generare le proteste dei residenti non sono tanto i 426 alberghi o le 299 pensioni della città, quanto gli innumerevoli appartamenti (quasi 15mila, di cui secondo il Comune quasi il 40% senza licenza) che vengono affittati ai viaggiatori sconvolgendo l'equilibrio sociale di interi quartieri una volta residenziali. Perché se durante la moratoria alcune grandi catene alberghiere come Hyatt e Four Seasons hanno cancellato i loro progetti di nuovi hotel di lusso, con la conseguente perdita dei posti di lavoro correlati (il settore turistico vale il 10% del Pil cittadino), nulla ha impedito che decine e decine di nuove stanze venissero messe in vendita sulle piattaforme di condivisione come HomeAway e Airbnb. Per contrastare il fenomeno l'estate scorsa la Colau aveva fatto appello ai cittadini: «Fate la spia, denunciate chi affitta senza licenza».

In breve sono arrivate oltre 400 denunce che hanno portato la sindaca a sanzionare HomeAway e Airbnb con multe di 600mila euro, perché la legge locale obbliga chi affitta casa a registrarsi in un apposito albo e a ottenere una licenza.

Ma la crescita degli appartamenti affittati ai turisti oltre a riempire all'inverosimile le strade della città ha portato anche all'aumento selvaggio degli affitti nelle zone di pregio. Solo nell'ultimo anno i prezzi sarebbero aumentati dell'8%, superando ampiamente i livelli pre-crisi.

Contestualmente nell'ultimo anno sono aumentati del 10% anche i prezzi delle stanze per i turisti. Può il successo di una città essere controproducente? OSp

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