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E boicottano la Berlinguer per zittire il No

E boicottano la Berlinguer per zittire il No

È proprio vero, come dicevano gli antichi romani, che se errare è umano, perseverare diventa diabolico. Prendiamo il caso di mamma Rai e di Bianca Berlinguer. In agosto l'estromissione dalla direzione del Tg3 della giornalista aveva sollevato più di una perplessità: in molti avevano interpretato il cambio della guardia come una normalizzazione per il referendum del 4 dicembre: tutti uniti e compatti alla consultazione popolare.

Per le mie obiezioni come consigliere d'amministrazione della Rai venni subito considerato come il solito bastian contrario ma ora i fatti mi stanno dando ragione perché la Berlinguer continua ad essere, in qualche modo, boicottata. Dopo la sua estromissione, a Bianca era stata, infatti, affidata la conduzione di un talk show televisivo che sulla carta dovrebbe andare in onda dal prossimo 26 ottobre. Da allora in molti stanno mettendo i bastoni tra le ruote dell'ex direttrice: prima c'è stato un notevole ritardo a dare il via libera (il placet è arrivato solo venerdì scorso), poi tanti intoppi su regista, tecnici e studio. C'è stato pure un divorzio tra la Berlinguer e Santoro ma il vertice Rai non c'entra. Resta il fatto che i tanti freni sono sembrati quasi voluti: un modo come un altro per fare slittare l'avvio del programma, magari a dopo il referendum. Sto esagerando? Può darsi: certo è che ho posto il problema nel consiglio d'amministrazione Rai di ieri. Silenzio assoluto.

Il problema è che, al di là della stessa Berlinguer che - onore al merito - difende la trasparenza del suo programma, sembra quasi che il servizio pubblico stia, in modo quasi masochistico, abdicando al suo ruolo sul fronte dell'informazione e del pluralismo a favore di altre emittenti televisive, in particolare della 7: se un tempo c'era la lottizzazione della Rai, adesso c'è l'informazione a senso unico alla faccia degli ascolti.

L'ultima conferma è proprio dell'altra sera, una nuova pietra miliare di Rai flop. L'informazione del martedì, il giorno della settimana da sempre dedicato ai talk show, è diventata un de profundis per il cavallo morente. L'ultima puntata su Rai3 di Politics di Fabio Semprini (quello dell'assunzione antisindacale) non ha superato l'audience del 2,7%, davvero un livello molto basso (cosa avrebbero detto se al vertice ci fosse ancora stata la Berlinguer...) mentre Floris, un profugo di Raitre così come Giannini che oggi l'affianca, ha toccato sulla tv di Cairo il 6,8%, più del doppio di Semprini grazie anche alla presenza di Massimo D'Alema schierato per il «No».

Teniamo conto che, sempre su La7, il telegiornale di Mentana vanta stabilmente un punto in più di ascolti da quando il Tg3 è stato, diciamo così, normalizzato. Al di là dei «tetti» degli stipendi dei giornalisti e dei dirigenti del servizio pubblico che debbono essere trasparenti, così come quelli degli artisti (a proposito: non ho avuto alcuna risposta diretta da Carlo Conti sui propri cachet, tra radio, Sanremo e programmi vari) il problema prioritario dell'ente radiotelevisivo di Stato è proprio l'informazione, una vera e propria emergenza: ecco perché molti consiglieri hanno chiesto ieri che tale problema sia al centro delle prossime riunioni al settimo piano di Viale Mazzini. Da sempre la Rai è stata la piazza principale dove si svolgevano i grandi dibattiti politici, prima di qualsiasi scadenza elettorale (basti pensare a Porta a porta), oggi non è più così e a Vespa è stata pure tolta la serata del giovedì, la più importante. Non solo: per assistere ai grandi dibattiti in vista del referendum con al centro, paradossalmente, proprio il premier Renzi dobbiamo sintonizzarci su un'altra emittente televisiva. Anche per via di quel canone che, con la bolletta elettrica, quasi tutti gli italiani sono costretti a pagare, la Rai deve subito voltare pagina sull'informazione. Non è mai troppo tardi.

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