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E il carabiniere disse: "Cucchi ci dà fastidio. Magari morisse..."

Nel processo sui depistaggi, indagati cinque ufficiali e un legale. Falsificarono i rapporti

E il carabiniere disse: "Cucchi ci dà fastidio. Magari morisse..."

Più si scava, più emerge fango. Intercettazioni con frasi che fanno male: «Magari morisse... li mortacci sua». Nulla di «penalmente rilevante», ma - umanamente - da ergastolo. Specchio del clima che ha creato l'atmosfera ideale per tutti i successivi depistaggi. Rapporti falsificati per i quali ora sono alla sbarra cinque ufficiali dei carabinieri e un avvocato. «Riunioni in stile alcolisti anonimi», così sono stati definiti in aula i «conciliaboli» lungo la linea di comando dell'Arma per «concordare una versione attendibile»: «attendibile», ma totalmente menzognera; «Una storia costellata da prove inquinate su ordini dall'alto», ha detto il pm, Giovanni Musarò Bugie che, con 19 anni di ritardo, stanno emergendo come un fiume carsico. Le frasi della vergogna sono riportate negli atti depositati ieri dall'accusa nell'udienza nel processo Cucchi. Nel documento vengono riportate intercettazioni di comunicazioni radiofoniche e telefoniche avvenute tra le 3 e le 7 del mattino del 16 ottobre del 2009, tra il capoturno della centrale operativa del comando provinciale e un carabiniere. Nella conversazione si fa riferimento alle condizioni di salute di Cucchi, arrestato la sera prima: «Mi ha chiamato Tor Sapienza - dice il capoturno della centrale operativa -. Lì c'è un detenuto dell'Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. È detenuto in cella e all'ospedale non può andare per fatti suoi». Il carabiniere risponde: «È da oggi pomeriggio che noi stiamo sbattendo con questo qua». Tra i militari alla sbarra c'è il tenente colonnello Francesco Cavallo, all'epoca capo ufficio comando del Gruppo carabinieri Roma: avrebbe suggerito - secondo l'accusa - a Massimiliano Colombo, comandante della stazione Tor Sapienza, di modificare l'annotazione di servizio sullo stato di salute di Cucchi. Tra gli ufficiali indagati anche il tenente colonnello Luciano Soligo e l'avvocato Gabriele Giuseppe Di Sano.

Ma torniamo alla «riunione in stile alcolisti anonimi» svoltasi al Comando dei carabinieri della Capitale. A partecipare, secondo l'accusa, furono tutti i carabinieri coinvolti nella vicenda, dal momento dell'arresto fino alla morte di Cucchi. È il 30 ottobre 2009, otto giorni dopo la morte del giovane. Sulla riunione (mai verbalizzata) Colombo spiega: «Ognuno a turno si alzava in piede e parlava spiegando il ruolo che avevano avuto nella vicenda Cucchi. Ricordo che uno dei carabinieri che aveva partecipato all'arresto, aveva un eloquio poco fluido, non era molto chiaro. Un paio di volte intervenne il maresciallo Mandolini per integrare cosa stava dicendo e per spiegare meglio, come se fosse un interprete. Ad un certo punto il comandante Tomasone (anche lui tra i sei indagati ndr) zittì Mandolini dicendogli che il carabinieri doveva esprimersi con le sue parole perché se non fosse stato in grado di spiegarsi con un superiore certamente non si sarebbe spiegato con un magistrato». Ieri il ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, ha incontrato per Ilaria Cucchi, sorella di Stefano: «Le ho detto che stiamo lavorando affinché processi come questi abbiano giustizia in tempi brevi. Io sono il ministro della Giustizia e quindi non voglio e non posso dire nulla su questo caso per rispetto della magistratura. Sto lavorando però per fare in modo che chi si rivolge allo Stato per ottenere giustizia la ottenga in tempi rapidi».

Sulla tragedia-Cucchi, di tempo, se n'è perso fin troppo.

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