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E i migranti cacciati dalla stazione ricompaiono nei giardini del centro

Vivono tra le aiuole, stendono sugli alberi i panni lavati alla fontanella. Trascorrono il giorno all'ombra dei cespugli, sdraiati su teli disposti per terra come giacigli di fortuna

E i migranti cacciati dalla stazione ricompaiono nei giardini del centro

«Decoro e legalità», prometteva poche ore fa il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, commentando la gestione dell'emergenza profughi in Stazione Centrale. Di più: rivendicava con orgoglio il lavoro fatto, vantandosi di aver restituito lo scalo ferroviario ai milanesi.

Ma i profughi dove sono finiti? Basta fare qualche centinaio di metri a piedi e i fantasmi che popolavano la stazione fino a poche ore fa riappaiono puntuali lungo i giardini di viale Vittorio Veneto. Tra le rotaie del tram e il cavalcavia sono accampati a decine. Etiopi ed eritrei, attirati nella zona di Porta Venezia dai numerosi locali dei connazionali. Vivono tra le aiuole, stendono sugli alberi i panni lavati alla fontanella. Trascorrono il giorno all'ombra dei cespugli, sdraiati su teli disposti per terra come giacigli di fortuna. Qualcuno trascorrerà la notte in un centro di accoglienza, altri dormiranno all'addiaccio. «Siamo a Milano da quattro giorni, siamo arrivati dalla Sicilia con il treno - raccontano tre eritrei –. Ieri la polizia ha sgomberato la stazione, ma ora non sappiamo sistemarci e siamo costretti a rimanere qui. Vorremmo andare in Germania o Scandinavia, ma non abbiamo soldi».

La situazione igienico-sanitaria è molto seria, diversi profughi presentano evidenti i segni della scabbia. L'hanno contratta per la prima volta in Libia, nei centri dove gli scafisti ammassano gli immigrati che sognano l'Europa. Tra i giovani spunta anche un bambino, non avrà più di 13 anni. Ci chiede cibo e scarpe, lo indirizziamo in uno dei tanti centri di accoglienza che la generosità di milanesi e volontari ha permesso di allestire in città. I commercianti della zona sono preoccupati, per i clienti e per gli stranieri. Il titolare di un bar ci racconta che il volume di affari è diminuito e lui è stato costretto ad installare dei vetri smerigliati nel dehor del proprio locale: «Altrimenti perdevo anche i pochi clienti che mi rimanevano», spiega. «Io cerco di aiutarli, la sera lascio aperti gli ombrelloni perché possano ripararsi se piove – continua –. Ma la situazione non può protrarsi, o ne soffrirà l'economia di tutto il quartiere. I negozi vendono di meno e sta calando anche il prezzo delle case». Pochi metri più avanti il farmacista racconta che gli africani comprano disinfettanti e antiparassitari, «perché l'emergenza sanitaria è grave». Fuori dal negozio, gli immigrati si grattano la pelle.

La scabbia brucia e nulla lascia presagire miglioramenti.

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