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E gli italiani rinunciano agli alimentari

Crescono i prezzi e i consumi crollano: -2,4%. Non accadeva dal 2014

Roma Tutti aspettano il ritorno dell'inflazione. Ma in quei settori si fanno sentire i primi rincari, l'effetto non è dei più incoraggianti ed è lo specchio di un Paese che non esce dalla crisi. Calano le vendite, persino quelle dei beni alimentari. Un saggio è arrivato ieri con i dati sui consumi al dettaglio. In febbraio c'è stata una diminuzione dei volumi di merci vendute del 2,4% rispetto all'anno scorso. La più ampia dall'agosto del 2014. Il calo nel valore delle merci è stato meno marcato: meno 1%. Il più basso dal settembre scorso. Sempre su base annua, per i prodotti alimentari si rileva una flessione dell'1,2% in valore e addirittura del 4,8% in volume, come non accadeva da marzo 2014.

Nell'alimentare si sono registrati nei mesi scorsi i rincari più significativi, in particolare negli ortaggi. I dati Istat (calo significativo dei volumi, meno marcato quello del valore delle merci) significano che i consumatori hanno reagito ai rincari non comprando. A discapito anche di chi li produce e distribuisce. «È la peggiore variazione tendenziale in volume da agosto 2014». La «debolezza dei consumi nel primo bimestre del 2017, confermata dall'incerto clima di fiducia, è un segnale di allerta sulle dinamiche della nostra economia», ha commentato Confcommercio. In febbraio «è stata particolarmente colpita la domanda di beni alimentari sui cui hanno anche pesato gli effetti della repentina ripresa dei prezzi, fortunatamente in riduzione a marzo. Resta il fatto che le famiglie torneranno a fare i conti con un fenomeno sopito, se non dimenticato: l'inflazione».

Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, conferma che il calo è stata una «reazione immediata dei consumatori all'impennata dei prezzi su alcune categorie di prodotti freschi». Le imprese distributive, aggiunge, «devono quindi prepararsi ad affrontare un altro anno di complessità».

Tra le novità della rilevazione diffusa ieri dall'Istituto di statistica c'è quella relativa alla dimensione dei negozi. Su febbraio dello scorso anno piccola e grande distribuzione hanno andamenti simili, con cali intorno all'1%. Nei mesi scorsi era stata la piccola distribuzione a soffrire maggiormente.

Il dato sui consumi è destinato a pesare nella definizione delle prossime scelte del governo. La legge di Bilancio del 2018 prevede l'aumento dell'Iva di due punti. Disinnescare l'aumento dell'imposta indiretta, insieme a quelli delle accise, tutti parte delle clausole di salvaguardia, costa più di 20 miliardi. Cifra difficile da reperire.

Dall'altro lato, un aumento dell'Iva è destinato a fare calare ulteriormente i consumi degli italiani. Era già successo in occasione dei precedenti aumenti dell'imposta su beni e servizi. Il calo dei consumi contemporaneo all'inflazione è un segno di una crisi strutturale. E l'aumento delle tasse non può che aggravare questa tendenza, oltre a non risolvere i problemi della finanza pubblica.

AnS

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