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E ora Cameron si gioca tutto in sette giorni

Il riscatto islamico, la pressione per contrattare, la Scozia: in bilico il destino del premier

E ora Cameron si gioca tutto in sette giorni

È una settimana drammatica, cruciale quella che si apre oggi per il premier britannico David Cameron, intrappolato tra una pesante decisione da prendere - quella d'inviare l'aviazione a bombardare le postazioni dello Stato islamico in Irak - e la battaglia per tenere assieme l'unione e non perdere dopo 307 anni la Scozia, che vota giovedì in un referendum sull'indipendenza.

Il primo ministro ha parlato ieri alla nazione, davanti alle telecamere, l'Union Jack da cui potrebbe presto scomparire il blu della bandiera scozzese alle sue spalle. Poche ore prima, nella notte tra sabato e domenica, lo Stato islamico ha reso pubblico il video della brutale decapitazione di un terzo ostaggio occidentale, l'operatore umanitario David Haines, e minacciato l'esecuzione di un altro cittadino del Regno Unito nel caso i raid americani e il sostegno della comunità internazionale all'operazione di Washington andassero avanti. Cameron ha promesso di «dare la caccia ai responsabili e portarli davanti alla giustizia», «con una determinazione di ferro». Ha parlato di loro come dell'«impersonificazione del male» e ha spiegato che la Gran Bretagna prenderà «qualsiasi passo necessario a contenere la minaccia e mantenere il Paese sicuro». Non ha però annunciato di volersi unire alla campagna aerea americana, per ora. Da una settimana, Londra fornisce armi alle forze curde peshmerga impegnate nel Nord dell'Irak ad arginare l'avanzata jihadista. Era già alta ed è aumentata ancora dopo la rivelazione della barbarica uccisione di Haines la pressione interna sul governo del primo ministro, accusato nelle scorse settimane - come avvenuto negli Stati Uniti al presidente Barack Obama - di non avere una chiara strategia per il contenimento degli estremisti sia in Irak e Siria sia in casa, dove c'è allerta per possibili attacchi terroristici.

Si è rafforzato il partito di chi chiede un intervento militare, anche soltanto aereo, in Medio Oriente e oggi in Francia - dove è arrivato ieri il segretario di Stato americano John Kerry - i possibili membri di una coalizione guidata dagli Stati Uniti parleranno di Irak.

Oggi è anche il giorno in cui David Cameron tornerà per la seconda volta in poche ore davanti alle telecamere per parlare alla nazione, non di minaccia terroristica o interventi armati, ma del destino del Regno Unito. Si rivolgerà agli scozzesi: in caso di separazione, «Non ci sarà possibilità di ritorno», dirà secondo le anticipazioni del Sunday Telegraph . Durante il weekend, sono usciti nuovi sondaggi che raccontano un referendum all'ultimo voto: tre danno un leggero vantaggio al «no», uno al «sì». Nei numeri corti è in gioco il futuro del primo ministro.

Nessun primo ministro britannico vorrebbe essere ricordato come il leader che ha perso la Scozia. Anche se lui ha già dichiarato che in caso di «sì» non darà le dimissioni, i giornali locali parlano già della possibilità di un voto di sfiducia.

E in caso di «no», il premier dovrà affrontare comunque, anche nella sua casa Tory, il malcontento di chi lo accusa d'aver portato l'unione a un rischioso punto di rottura, aprendo le porte al referendum.

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