Politica

E il Pd respinge le consultazioni di Di Maio

Nessun incontro con i grillini. La linea resta quella dell'opposizione decisa da Renzi

E il Pd respinge le consultazioni di Di Maio

Roma - «Quando lo facevamo noi ci accusavano di spartizione del potere. Ora che lo fanno loro la chiamano espressione della volontà popolare». Alla buvette di Palazzo Madama per un caffè, nei lunghi tempi morti tra una votazione e l'altra, il neo-senatore Matteo Renzi fotografa con distaccata ironia la bulimia di poltrone scoppiata nei Cinque Stelle: «Sta accadendo quello che accade sempre quando sei maggioranza: devi sistemare tutti - spiega - Un conto è quando sei all'opposizione, ma se sei maggioranza devi trovare un posto questo e per quello, alle diverse correnti interne, altrimenti tutti protestano».

In realtà, il tentativo dei grillini di alzare il prezzo con il Pd, minacciando di escluderlo dall'ufficio di presidenza della Camera e negandogli un questore al Senato («Cosa mai accaduta nella storia della Repubblica, perché alle opposizioni è sempre stato garantito un ruolo nella gestione del Parlamento», ricorda Luigi Zanda) e contemporaneamente chiedendo loro incontri per ragionare sul governo Di Maio, è servito solo a ricompattare il partito sulla linea renziana: opposizione e nessuno scambio con M5s. Capigruppo e segretario reggente, ad una sola voce, denunciano il «rischio democratico» insito nell'accaparramento delle postazioni istituzionali. I grillini vogliono il controllo dell'ufficio di presidenza della Camera e il questore «anziano» al Senato, che servono loro a sceneggiare una campagna elettorale permanente sui mitologici «tagli ai costi della politica», e nell'incontro con i capigruppo Dem di ieri minacciano di lasciarli a bocca asciutta se non daranno i loro voti ai candidati M5s. «Siamo rimasti basiti: si è deciso di non dare questori alle minoranze. Per la prima volta, non ci sarà la possibilità di critica da parte delle minoranze. È una cosa che fa riflettere sul loro concetto di democrazia», racconta il capogruppo al Senato Marcucci.

Nel frattempo, Di Maio faceva sapere di voler avviare «consultazioni» con i partiti, Pd incluso, per proporre il suo programma di governo. E i suoi facevano circolare la velina secondo cui da parte del nuovo capogruppo alla Camera Delrio ci fosse una «disponibilità» al dialogo. La risposta del reggente Martina (dopo un colloquio con Renzi) è un secco no: «Il Pd di certo non parteciperà a nessun incontro sui programmi con altri in questi giorni. Noi attendiamo con rispetto prima di tutto le consultazioni del presidente della Repubblica».

Il tentativo grillino di aprire brecce nel Pd si infrange così. Anche perché, sottolinea Renzi, «i numeri sono quel che sono: per fare un governo con noi, M5s avrebbe bisogno del 90% dei nostri parlamentari: non succederà mai, neppure se per assurdo Di Maio riuscisse a spaccare il Pd e ad avere l'appoggio di una parte dei nostri. Ne basterebbero sette che dicono no», e i renziani doc sono ben più di sette. Conclusione: «Di Maio ha sbagliato i suoi calcoli». Il Pd, come voleva Renzi, è blindato sulla linea dell'opposizione: né M5s né centrodestra. Resta da vedere cosa accadrà però se lo stallo si trascinasse: «Ora è così.

Ma tra due mesi quanti resisterebbero agli appelli di Mattarella per fare comunque un governo?», si chiede un renziano.

Commenti