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E persino la Chiesa si lamenta: «Il Paese non cresce»

L'allarme di Bagnasco. In Europa il governo vuole sfruttare le difficoltà della Merkel

Roma Alla fine la battaglia del Def potrebbe vincerla il ministro Padoan. Dalle cifre del Documento di economia e finanza che sarà approvato dal consiglio dei ministri oggi, potrebbe uscire una stima della crescita un po' meno ottimistica di quella che Palazzo Chigi avrebbe voluto. La crescita del Pil per il 2016 sarà rivista al ribasso e con ogni probabilità dal +1,2% si scenderà al +0,8-0,9% mentre per il 2017 la stima dovrebbe essere fissata intorno all'1%, ben sotto il +1,4% previsto ad aprile.

Ma sono stime più prudenti anche rispetto a quelle circolate questi giorni, dall'1/1,1% per quest'anno all'1,2% di crescita del Pil per il 2017. In entrambi i casi stime che tengono conto dell'impatto delle riforme. Decimali che servono al governo nella trattativa con Bruxelles (un Pil più alto libera possibilità di spendere in deficit), ma non risolvono la crisi dell'economia italiana, che resta grave come ha sottolineato il presidente della Cei Angelo Bagnasco. Il Paese cresce poco. «Siamo fortemente preoccupati - ha detto il cardinale - che il patrimonio di capacità e di ingegno del nostro popolo sia costretto a emigrare, impoverendo così il Paese». Bagnasco cita i dati dell'economia italiana: «I nuovi contratti sono diminuiti del 12,1% (ministero del Lavoro), il Pil non è cresciuto, la disoccupazione tra 15 e 24 anni è salita al 39,2%, la produzione industriale risulta diminuita dello 0,8%)».

Un appello a fare ripartire l'Economia che il governo dovrà raccogliere con risorse limitate. La trattativa con l'Europa è in corso ed è in salita. Nel 2017 avremmo dovuto centrare un rapporto deficit/Pil dell'1,8%. Si arriverà al 2/2,1%. Poi dovrebbe passare lo scorporo delle spese per il terremoto e per l'emergenza migranti, che vale sette miliardi di euro. Alla fine il livello del deficit dovrebbe essere lo stesso del 2016: 2,4 per cento. Ammesso che l'Europa ce lo conceda.

Il clima politico sarebbe positivo. La Germania è alle prese con difficoltà notevoli, dalle sconfitte elettorali di Merkel ai guai di Deutsche Bank. E questo favorisce un atteggiamento morbido nei confronti dei paesi che non rispetteranno fino al decimale gli accordi sul deficit.

Ma l'Italia, come ha sottolineato il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, ha già goduto di tutta la flessibilità, 19 miliardi per investimenti e riforme. Poi c'è la partita del debito pubblico che complica tutto. Il governo italiano non ha rispettato gli obiettivi di riduzione concordati con l'Ue. Non ci sono state le privatizzazioni promesse. Per il 2017 l'ultima comunicazione all'Europa fissa il rapporto tra il debito e il Pil al 132,2 per cento, Bruxelles si aspetta uno sforzo importante. Le mancate privatizzazioni di quest'anno costringeranno il governo a sforzi extra su altri capitoli. Ad esempio sui tagli alla spesa. L'Ue se li aspetta, ma il governo non pensa di potere andare oltre una riduzione delle solite spese intermedie dei ministeri, una sforbiciata alla Sanità attraverso le Regioni e una riduzione dei trasferimenti agli enti locali. Circa sette miliardi, che però serviranno a tamponare le falle della prossima legge di Bilancio. Le spese elettorali che il governo vuole mettere nella «finanziaria».

AnS

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