Cronache

E la questura frena: "Anis? Qui per caso"

Ma i legami del terrorista con la Lombardia sono sempre più evidenti

E la questura frena: "Anis? Qui per caso"

Milano Il questore di Milano si ostina a negare l'evidenza, e a negare che il terrorista di Berlino avesse una rete di legami e di appoggio in Lombardia: il dato più inequivocabile di tutti, la partenza del Tir della strage da Cinisello Balsamo e l'approdo di Amri a Sesto San Giovanni (1,5 km di distanza, fonte Google Maps) secondo il questore De Iesu «può sembrare la chiusura di un cerchio ma in realtà sembra essere solo un caso». Ovviamente il questore sa che casi del genere non si verificano neanche in fisica quantistica. Ma d'altronde la parola d'ordine in questo momento sembra essere «tranquillizzare»: il messaggio per l'opinione pubblica deve essere che Anis Amri era un «lupo solitario», come lo definisce ieri il ministro degli Interni Marco Minniti. E non importa se invece risultanze investigative precedenti e successive alla strage lo collocano al vertice della Brigata Abu Al Walaa, uno dei più temibili bracci operativi dell'Isis in Germania.

«Al momento non abbiamo elementi per dire che Anis Amri avesse collegamenti a Sesto San Giovanni o Cinisello Balsamo», dice il questore. Dell'inesistenza di una rete di appoggio aveva d'altronde parlato l'altro ieri il premier Gentiloni, e lo stesso aveva fatto il ministro Minniti. Quest'ultimo però aveva però aggiunto: «Non diremo mai se c'è una rete o meno, affermarlo significherebbe lanciare un warning e il mio ruolo non lo permette». Insomma, la verità sui collegamenti del terrorista tunisino nel nostro paese non viene detta, un po' per non mettere sull'avviso i suoi complici, e un po' per non allarmare troppo l'opinione pubblica.

Ma la pervicacia con cui Amri ha puntato la prua della sua fuga verso l'Italia rende inverosimile che l'emiro della brigata Al Walaa si preparasse a vagare senza meta per il nostro paese. E anche alcune incertezze dimostrate nella fase finale del suo viaggio, come quando a Torino ha esitato se comprare il biglietto per Roma o per Milano, difficilmente possono escludere che la sua fuga fosse stata pianificata fin dall'inizio e potesse contare su appoggi sia al nord che al sud del paese.

Un dato è certo, ed è che l'apparato di sicurezza italiano ha funzionato: sia nel 2015, quando ha individuato e segnalato per tempo la deriva integralista imboccata dall'ex profugo, sia nell'intercettarlo e neutralizzarlo durante la sua fuga. Invece in Germania gli apparati di polizia e di intelligence ormai sono sotto il tiro incrociato della stampa: al punto che ieri il ministro dell'Interno del Nord Reno-Westfalia Ralf Jäger è dovuto intervenire in loro difesa, «non erano emersi elementi che rivelassero un suo (di Amri, ndr) progetto, non possiamo arrestare qualcuno solo perché è considerato pericoloso». E il capo della BfV, i servizi segreti, Hans George Maassen ha definito «ingiustificate» le critiche che piovono sull'intelligence.

É lo stesso Maassen che a febbraio dello scorso anno aveva lanciato l'allarme: «L'Isis invia deliberatamente i propri terroristi tra i rifugiati e questo è un fatto con cui la polizia deve fare i conti».

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