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E Renzi passa all'attacco: «Noi nel giusto, altri no» Napolitano accusa Orfini

L'ex premier: dal Pd nessun bavaglio. Re Giorgio vuole le scuse del dem. La replica: io mai malevolo

E Renzi passa all'attacco: «Noi nel giusto, altri no» Napolitano accusa Orfini

Roma Matteo Orfini, presidente del Pd, mercoledì si scandalizzava: «Un attacco alla democrazia». Ma Giorgio Napolitano ha la memoria più lunga: «Tutti ora gridano contro l'abuso delle intercettazioni e l'abuso della pubblicazione. È un'ipocrisia paurosa». Il botta è risposta è continuato. Orfini retwitta: «La pubblicazione a strascico di intercettazioni irrilevanti e/o illegali parte col caso Unipol. Non ricordo altolà di Napolitano allora». E Re Giorgio ieri pretendeva le scuse: «All'onorevole Orfini, incerto nella memoria, ma pronto ad alimentare insinuazioni, ho inviato dei riferimenti documentali relativi a quel che dichiarai circa le pubblicazioni di conversazioni irrilevanti sul caso Unipol. Mi auguro abbia modo di esprimermi le sue scuse». Le scuse non sono arrivate («Io mai malevolo», annota Orfini), a differenza dell'affondo di Matteo Renzi: «Non vogliamo il bavaglio, ma il rispetto della legge. Nella vicenda Consip noi siamo dalla parte della legalità, chi ha sbagliato paghi».

La memoria incerta della sinistra, però, ci riporta al 2010. All'epoca Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, parlava così: «Questo disegno di legge è un tentativo di mettere il bavaglio all'informazione. Di fronte a una norma del genere, per l'opposizione è doverosa ogni pratica ostruzionistica». Il quarto governo Berlusconi aveva presentato un disegno di legge per disciplinare l'uso e la pubblicazione delle intercettazioni. E il Pd, per bocca del suo numero uno di allora, annunciava ostruzionismo in Parlamento. Erano i tempi del Popolo viola e dello slogan «Intercettateci tutti!», scandito nelle grandi manifestazioni del 9 luglio di sette anni fa. Alla protesta, partecipò tutto il gotha della sinistra.

In prima fila Arci, Cgil, Popolo viola, e Agende Rosse. Ma c'era pure il Partito democratico. Gli stessi dem che oggi, con Renzi intercettato, si agitano perché «la diffusione illegale di conversazioni private comporta il rischio di alterare la dinamica del confronto democratico, quindi della democrazia stessa». Parola della renziana Alessia Morani. Quando a Palazzo Chigi c'era Berlusconi, invece, la musica era diversa. E il Pd sfilava insieme a Sel e ai dipietristi dell'Idv, con una richiesta precisa: «Intercettateci tutti!». Protestava anche Dario Franceschini, attuale ministro della Cultura e «grande elettore» di Renzi: «Faremo opposizione durissima e intransigente, in cui useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione, per la maggioranza di Berlusconi sarà un inferno». Nell'estate del 2010, il capogruppo alla Camera Franceschini si diceva pronto ad appoggiare gli emendamenti presentati da alcuni deputati finiani per migliorare il testo. Flirt ricambiato da Italo Bocchino: «Ci fa piacere sapere che il Pd condivide le nostre posizioni sulla legalità, chi ha scritto quel disegno di legge ha fatto un pasticcio».

Un'estate fa, anzi sette.

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