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La sinistra torna alla carica: "Basta con la parata militare"

Civati & C. fanno l'annuale denuncia sui costi della cerimonia: "Dal 2010 spesi oltre 17 milioni di euro"

La sinistra torna alla carica: "Basta con la parata militare"

Non il ricordo dei martiri di Cefalonia, non il valore dei contingenti in Libano, Irak e Afghanistan e nemmeno l'abnegazione dei reparti impegnati ad Amatrice, Norcia e ad Arquata. Il 2 giugno non può essere pienamente la festa delle Forze armate, soprattutto se a governare è la sinistra con le sue idiosincrasie pacifiste. E così i nostri militari ieri non solo hanno dovuto sopportare un manifesto celebrativo con i sindaci in marcia con le fasce tricolore (come se si trattasse di un rituale tutto civile), ma anche l'ennesima interrogazione presentata in tandem da Sinistra italiana-Possibile (cioè da Pippo Civati) contro gli stanziamenti per la manifestazione.

È il solito testo presentato da Giulio Marcon, capogruppo di Si, scrittore, pacifista, terzomondista, filopastinese, che ogni anno si perita di aggiornare solo i numeri. «La sfilata militare del 2 giugno a Roma in occasione della Festa della Repubblica è costata dal 2010 al 2016, complessivamente, oltre 17 milioni di euro (15 milioni nel testo del 2016)», si legge nell'interpellanza. Segue poi la denuncia delle spese medie quotidiane del settore difesa (48 milioni di euro nel 2016 «per la precisione») di cui quasi 13 per l'acquisto di nuovi armamenti. Si chiede poi al governo se abbia «valutato l'impatto ambientale e acustico di una manifestazione cosi' imponente su un'area di così particolare pregio archeologico e architettonico» e infine si rinnova la richiesta di una sospensione a fronte della «crisi economica». Nulla di nuovo sotto il sole, incluso l'accenno allo stop decretato alla parata nel lontano 1976.

Quell'anno il ministro della Difesa, Arnaldo Forlani, decise di non far svolgere la manifestazione per non richiamare le truppe impegnate a sostegno delle popolazioni terremotate in Friuli. Lo stesso si fece l'anno successivo, un po' per non eccitare un clima già connotato dalle intemerate dei terroristi motivandolo con l'«austerity» dominante. In pratica, la celebrazione venne ripresa (sebbene in forma più contratta) per espressa volontà del presidente partigiano, Sandro Pertini, nel 1983. Fu Oscar Luigi Scalfaro nel 1993 a decretarne, però, il blocco più lungo, fino alla fine del suo mandato. Nessun governo osò contraddirlo, soprattutto quello di Romano Prodi che si reggeva sulla sinistra più antimilitarista d'Europa.

Così toccò a Carlo Azeglio Ciampi rispolverare un po' di amor patrio e rivitalizzarla a partire dal 2000, una tradizione che nemmeno il suo successore Giorgio Napolitano ha più messo in discussione, sebbene non siano mancate le offensive dei post-comunisti. Come quelle della senatrice Lidia Menapace che nel 2006 si scagliò in un'intervista al Corriere contro le Frecce tricolori («inquinano»). Sempre nel 2006 il neo presidente della Camera, Fausto Bertinotti, si presentò alla sfilata con una spilla arcobaleno cercando di mettere il piede in due scarpe. «La mia persona è rappresentata con i colori che porto, che sono i colori della pace», dichiarò come se egli fosse scindibile dalla carica che rappresentava.

I pacifisti tornarono alla carica anche nel 2012 visto che il montismo era una buona scusante. Napolitano li respinse con perdite tagliando però il budget della sfilata.

Da tre anni Mattarella è inamovibile, sperando non si smentisca.

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