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E dopo il sovrano è giunto il tempo di far tornare anche Bettino Craxi

Re Sciaboletta è tornato. Ora riportiamo a casa il Cinghialone

E dopo il sovrano è giunto il tempo di far tornare anche Bettino Craxi

Re Sciaboletta è tornato. Ora riportiamo a casa il Cinghialone. Il Presidente Sergio Mattarella non ce ne voglia. Il via libera al rientro in Italia del sovrano gli rende onore. Ma non è abbastanza. Al di là del Mediterraneo riposa la salma di un altro italiano meritevole di venir sepolto con tutti gli onori. Quell'italiano si chiama Bettino Craxi. Certo sui suoi resti, a differenza di quelli di Vittorio Emanuele III non pesa un formale divieto di rientro. E la decisione di lasciarlo ad Hammamet è stata essenzialmente una scelta della famiglia. Il ritorno della salma del sovrano deve però spingere governo e politica italiana a pretendere la fine dell'esilio post mortem di Craxi. Sul re pesano tre peccati capitali come la condivisione del potere con il Fascismo, l'accettazione delle leggi razziali e la fuga da Roma dopo l'8 settembre. Nulla di così inglorioso viene addebitato a Bettino. Anzi più passano gli anni più diventa evidente, e lo scrive uno che mai fu craxiano o socialista, la sua grandezza politica.

Vittorio Emanuele III scese a patti con Mussolini. Bettino Craxi non lo fece con nessuno. All'interno della sinistra europea fu tra i primi a condannare marxismo e dittatura sovietica. Nella Nato non si fece mai mettere i piedi in testa da Washington e, come Mattei, non rinunciò al sogno di trasformare l'Italia in una potenza del Mediterraneo. Nella notte di Sigonella mandò i carabinieri a fronteggiare le forze speciali americane mentre al telefono trattava con Reagan e Arafat. Nel 1987 fregò Parigi a casa propria anticipando un colpo di stato francese in Tunisia e portando al potere Ben Alì. Un anno prima salvò la vita al Colonnello Gheddafi avvertendolo della decisione americana di bombardare la sua residenza. Ma quando si trattò di schierare i missili Pershing e Cruise per contrastare quelli sovietici fu il primo ad appoggiare Washington contribuendo, come riconobbe l'ex segretario di Stato Usa Zbigniew Brzezinski, alla sconfitta dell'Urss. Ma anche in patria le sue scelte di precursore superano le condanne per corruzione e finanziamento illecito. Da premier fu il primo a proporre un progetto di grande riforma costituzionale in chiave presidenziale che ci avrebbe risparmiato i tormenti degli ultimi anni. Con lui l'Italia entrò nel club delle cinque grandi potenze economiche mondiali e si liberò da quell'inflazione che distruggeva i redditi degli italiani. Ma grazie a lui finì anche la dipendenza dal monopolio Rai. E dell'ultima, poco illustre, fase della sua carriera va ricordata la determinazione e la dignità con cui ammise le accuse per corruzione ricordando ai «finti moralisti» di essersi finanziati con le stesse tangenti.

Per tutto questo la salma di Bettino Craxi è la prima a dover tornare dopo quella di Vittorio Emanuele. E con tutti gli onori dovuti a un uomo di Stato le cui luci sorpassano di gran lunga le ombre.

E al cui cospetto molti premier e politici dell'ultima triste stagione appaiono come fuggevoli e grigi meteore.

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