Cronache

Ecco la carta d'identità dei formaggi

Da domani i prodotti lattiero-caseari avranno in etichetta l'origine della materia prima

Ecco la carta d'identità dei formaggi

Dimmi da dove arriva il latte e ti dirò che formaggio sei. Scatta domani l'obbligo per i produttori di indicare in etichetta l'origine del latte e dei prodotti lattiero-caseari utilizzati. Viene pubblicato infatti in Gazzetta Ufficiale ed entra quindi in vigore il decreto legge firmato dai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda in attuazione del regolamento dell'Unione Europea numero 1169/2011. Lo stesso ministro Martina sarà domani alla sede Coldiretti a Roma, in via XXIV Maggio, con Roberto Moncalvo, presidente dell'associazione, per spiegare le nuove etichette e aiutare così i consumatori a fare acquisti consapevoli.

In etichetta dovrà essere indicato in modo visibile il Paese di mungitura e il Paese «di condizionamento o trasformazione». Se tutto è avvenuto in Italia la dicitura sarà: «Origine del latte: Italia». Altrimenti potrà essere scritto «latte di Paesi Ue» (se tutte le fasi sono avvenute in Europa, anche in paesi differenti), «latte condizionato o trasformato in Paesi Ue» oppure «Paesi non Ue». Sono esclusi i prodotti Dop e Igp che sono già tracciati da disciplinare.

Si tratta - o almeno si dovrebbe trattare - di una buona notizia per il made in Italy alimentare, che potrà difendersi quindi dai formaggi e dai latti che fino a oggi sono stati italiani solo per la carta d'identittà. Secondo un'analisi proprio di Coldiretti attualmente tre confezioni su quattro di latte a lunga conservazione contengono prodotto straniero. Magari sarà così anche in futuro, ma almeno da domani se vorremo lo sapremo.

La trasparenza delle etichette dei prodotti alimentari si sta faticosamente imponendo a tutto vantaggio dei produttori più onesti. Qualche tempo fa un provvedimento simile era stato preso per il riso, anche grazie alla mobilitazione dei risicoltori giunti in massa a Roma per reclamare tutela per un prodotto di cui l'Italia è primo produttore europeo (coltivazione su un territorio di 234mila ettari, produzione di 1,58 milioni di tonnellate pari al 49 per cento dell'intera produzione Ue, 4300 aziende risicole e circa 100 industrie risiere, volume di affari di circa un miliardo all'anno). Il risultato era stata l'entrata in vigore dell'obbligo della indicazione di origine. Anche in quel caso prima del passaggio legislativo un pacco su quattro venduto in Italia conteneva materia prima straniera all'insaputa dei consumatori. L'Italia però non si accontenta e sta chiedendo con insistenza a Bruxelles di attivare la clausola di salvaguardia per bloccare le importazioni di riso dai Paesi che godono del sistema tariffario a dazio zero nonostante utilizzino in maniera intensiva pesticidi vietati da anni nella Ue e sfruttino il lavoro minorile.

La battaglia però è ancora lunga. «Le importazioni di prodotto straniero spacciato per italiano - fanno sapere da Coldiretti - nel 2016 hanno raggiunto il record storico». Oltre un terzo della spesa degli italiani è ancora «anonima»: non si sa dove arrivi la carne con cui vengono fatti i salumi (due prosciutti su tre venduti come italiani sono da maiali allevati altrove), i pomodori delle passate o dei sughi pronti, la frutta dei succhi, il grano della pasta (un pacco su tre contiene rigatoni o spaghetti fatti con grano senza indicazione di provenienza). A livello comunitario esiste obbligo di conoscere il «luogo di nascita» degli ingredienti solo per la carna bovina (ma solo dopo l'emergenza mucca pazza del 2002), l'ortofrutta fresca, le uova, il miele.

E da domani per latte e formaggi.

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