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Ecco i nomi (tutti italiani) pronti a salvare i nostri musei

È sconfortante la lettura dei blog di Repubblica di commento alle nomine di Franceschini. Persone che hanno evidentemente qualche interesse per l'arte e per i musei, vivono in una iconosfera di luoghi comuni e di disinformazione, ignorando dati, fatti, esperienze e sostenendo la pessima idea di far dirigere i musei italiani a studiosi stranieri, dico studiosi non manager. Con (...)

(...) ciò, oggettivamente, mortificando gli studi, il lavoro, l'impegno di direttori italiani di lunga esperienza che hanno realizzato iniziative eccezionali nei loro musei, senza avere garanzie di finanziamenti e con stipendi umilianti. I nuovi direttori avranno fondi speciali (ed è buona cosa) e stipendi che vanno da 100mila a 140mila euro l'anno. Il direttore degli Uffizi, Antonio Natali, dopo trentacinque anni di carriera, riceveva 1800 euro al mese.

I blogger, prima di entusiasmarsi, farebbero meglio a informarsi. Io, al governo, come sottosegretario, fui l'inventore degli apprezzati poli museali (Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Pompei) e portai gli stipendi dei direttori a 6mila euro al mese. Quella riforma premiava figure di soprintendenti gloriose (qualcuno può discutere il valore di Paolucci e Spinosa?).

Non per essi, che avevano capacità anche organizzative, ma per altri valorosi, come Claudio Strinati e Pietro Guzzo, autori di memorabili studi, sarebbe stato forse giusto immaginare l'affiancamento a un direttore organizzativo, con responsabilità sul personale e sui finanziamenti, e su tutto quello che può rendere produttivo un museo. Ciò manca, e questo poteva essere il significato sostanziale, stranieri compresi, della riforma di Franceschini. Invece essa ha, nei fatti, contrapposto studiosi italiani e studiosi stranieri, funzionari di lungo, e talvolta eroico, servizio a pischelli che non hanno mancato di dare, come oggi è consuetudine, il loro contributo alle attività di mercanti, privati e case d'asta.

L'etica del funzionario pubblico, e della burocrazia come coscienza dello Stato, è superata; e così può accadere che a Paestum sia andato Gabriel Zuchtriegel e non Maria Paola Guidobaldi, ottima direttrice di Ercolano con buona esperienza anche a livello internazionale, per aver avuto rapporti con la fondazione Packard, che sostiene e provvede al sito, in fertile relazione con le parti migliori dello Stato. Il trentaquattrenne che ha vinto è un ragazzo intraprendente, intelligente, ma non ha dato prove dell'esperienza che gli viene accreditata per un sito così importante, che già funziona bene, mentre Pompei continua ad avere difficoltà, come abbiamo visto. La Guidobaldi era tra i selezionati, e forse ha perso solo perché italiana. D'altra parte, il presidente della Commissione di concorso, Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia per nomina diretta e fiduciaria del ministro e non per concorso, da anni indulge, a sua volta, alla nomina, senza concorso, di direttori di sezione stanati in tutte le parti del mondo. Ma non sarà un caso che il migliore sia stato un italiano, Massimiliano Gioni.

È vero che, come Gioni, hanno lavorato all'estero e sono tornati in Italia anche alcuni dei vincitori dell'attuale concorso per direttori dei musei, ma è anche vero che l'arte contemporanea presuppone criteri e proposte che non hanno necessariamente fondamento sulla conoscenza, sugli studi, sull'esperienza. È il caso di un evidente errore di Baratta, della commissione e di Franceschini: le Gallerie dell'Accademia di Firenze avevano un direttore naturale, Angelo Tartuferi, la cui ormai lunga attività è stata ignorata per favorire Cecilie Hollberg, lontanissima dalla conoscenza maturata e diretta dei materiali di quel grande museo, che non è soltanto il David di Michelangelo. Senza discutere del valore della Hollberg, non c'era bisogno di guardare fuori. La stessa cosa si può dire per un altro bravissimo studioso mortificato, e non per un abisso di demerito, giacché l'insidioso punteggio lo dava 83 a 82. Mi riferisco a Stefano Casciu, perfetto per la galleria Estense di Modena, dove è stata nominata invece Martina Bagnoli.

In sostanza i notevoli, vecchi e giovani, sono stati ignorati ed evitati per nomine evidentemente impari e inadeguate. Ne è prova sovrana la umiliante decisione, tutta di Franceschini, sugli Uffizi, dove la scelta è caduta su un giovane e bravo studioso, ma che non ha certamente dato prove straordinarie come quelle di Antonio Natali (che egli peraltro ammira), e non solo per la qualità e quantità degli studi, ma anche per l'attività culturale con cui ha tenuto vivi gli Uffizi. Basta ricordare le recentissime e straordinarie mostre di Gianfranco Ferroni e di Piero di Cosimo. O la memorabile, ed europea, sui comprimari spagnoli della Maniera toscana. Soltanto una commissione di incompetenti senza titoli poteva, in nome di un falso internazionalismo, anteporre, anche rispetto agli obbiettivi proposti, il pur preparato Schmidt a Natali. Non parliamo di Urbino, Perugia, Mantova, dove avevano tutti i titoli per essere nominati non esterni, ma funzionari di primo ordine delle generazioni più vicine, come Mauro Scalini, già ottimo direttore della Pinacoteca di Siena e fondatore del Museo Bardini, Giovanna Paolozzi Strozzi, Marica Mercalli, Stefano L'Occaso e Fabrizio Vona; per non dire di altri meritevoli sul campo: Matteo Ceriana, Marina Mattei, Daniela Porro.

Osservo che, anche tra gli stranieri, sono stati esclusi studiosi di comprovata fama ed esperienza, come David Ekserdjian. E, infine, che la difesa dei soprintendenti interni all'amministrazione, come un diritto di prelazione metaforico, debba essere fatta dal ministro, è suggerito dai punteggi dei finalisti, dieci per museo. A Firenze, Natali e Schimdt sono alla pari, hanno 80 punti, e non potrà essere la prova orale ad averli distaccati. A Venezia, dove pur è andata, dai musei civici di Verona, una bravissima direttrice come Paola Marini, la candidata interna, Giuliana Ericani, aveva un punto in più. Il bravo Bellenger, inviato a Capodimonte, stacca di tre punti Fabrizio Vona, ma non so se la nomina è, per un bravo studioso come lui, in una città difficile come Napoli, una vittoria o una sconfitta. A Brera solo due punti separano la Bandera da Bradburne, che pure ha vinto. A Caserta Vona ha tre punti di più (81) del vincitore Mauro Felicori (79). Alle Gallerie dell'Accademia di Firenze, Angelo Tartuferi (78), ma anche Stefano Casciu (79), hanno più o meno lo stesso risultato della vincitrice. A Modena perdono da Martina Bagnoli ben quattro interni, Paolozzi Strozzi, Scalini, Cremonini e Casciu, che hanno lo stesso punteggio (77) della vincitrice. Puniti per essere interni? A Roma vince la Gennari Santori, che ha un punto meno di Giorgio Leoni ed è alla pari di Edith Gabrielli; a Urbino, stesso scenario. Vince Peter Aufreiter, ma è alla pari di due valorosi interni come Scalini e Ceriana, quest'ultimo specialista di scultura del Rinascimento.

Ma al museo archeologico di Napoli la brava Guidobaldi ha un punto in più del vincitore Giulierini, etruscologo. La stessa Guidobaldi a Paestum ne ha due in più di Zuchtriegel. A Genova e a Torino gli «statali» Farida Simonetti (bravissima) e Scalini perdono inspiegabilmente (il ministero non difende i suoi) da funzionari italiani comunali. Dove certamente la scelta dell'esterno è un miglioramento, rispetto all'interno, è a Reggio Calabria che si sbarazza (vendetta di Franceschini) di Simonetta Bonomi, la direttrice che favorì il ridicolo travestimento femminile dei Bronzi di Riace.

Infine una nota. A Torino, come ovunque, perdono gli interni Scalini e Mattirolo, e vince Enrica Pagella. Ma la soluzione terza, visti i risultati al Vittoriale degli Italiani, e la richiesta di una direzione manageriale, poteva essere la nomina del bravissimo Giordano Bruno Guerri, fiducioso e coraggioso concorrente. In che cosa egli demeriti rispetto alla vincitrice, la Commissione dovrà spiegare. Se potrà.

Anche per rispetto della cultura italiana.

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