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«Ecco l'effetto Parisi: fino al referendum centrodestra congelato»

Il politologo: "Ruolo legato a Italicum e voto Se torna il proporzionale divorzio Fi-Lega"

«Ecco l'effetto Parisi: fino al referendum centrodestra congelato»

Roma «Sul ruolo di Stefano Parisi le carte si scopriranno solo dopo il referendum costituzionale e quando si saprà la sorte dell'Italicum». Per il politologo Giovanni Orsina, docente di Storia contemporanea alla Luiss di Roma, fino ad allora tutti nel centrodestra «stanno disponendo i loro pezzi sulla scacchiera, ma la partita non è ancora cominciata».

Neppure è sicuro che Parisi sarà uno dei giocatori?

«Vedo una situazione molto fluida: Parisi, ma anche Berlusconi e Salvini, si tengono aperte diverse opzioni. Aspettano di conoscere le regole del gioco e questo avverrà solo conoscendo la legge elettorale con cui andremo a votare e le alleanze che saranno o no necessarie. Se vince il No al referendum e si va verso un modello neo-proporzionale, Fi e Lega potrebbero arrivare ad un divorzio, come nel resto d'Europa. In Germania, Francia e Gran Bretagna queste forze sono separate e competitive. Se invece passa il Sì e regge l'Italicum, i partiti del centrodestra saranno costretti ad allearsi e il quadro cambierà».

A Parisi quale delle due opzioni conviene?

«Lui ha sempre detto che vuole ricostruire il centrodestra e se ha in testa una grande federazione penso che debba sperare che vinca il Sì. Se invece pensa a un'opzione più tattica, quella di un partito attorno al 10% ma fondamentale per qualsiasi governo, la vittoria del No porterebbe ad un governo di scopo, con i voti di Pd e Fi, facendo saltare il rapporto con la Lega».

Ora lui assicura: nessun inciucio con Renzi.

«Non potrebbe dire altrimenti. A Milano è entrato in forte polemica con il premier, ma questo vale oggi. Dopo il referendum l'intero quadro politico potrebbe cambiare».

Ma Parisi ha le caratteristiche per far recuperare elettori al centrodestra?

«È una novità, un chiaro tentativo di riallargare i confini dello schieramento, porta energie nuove. Il parterre di Milano dice che vuol ripartire dalla società civile, riconquistare i ceti tradizionalmente vicini a questo polo. Il gioco è lo stesso di Berlusconi nel '94. Ma deve ancora chiarire se vuol fare un nuovo partito, un movimento che fiancheggia Fi o entrare dentro Fi. Poi, deve dimostrare se funziona con l'elettorato. Per ora, ha puntato ben poco sul carisma da piazza e ha insistito molto su serietà e moderazione. Bisognerà vedere se può avere successo il suo modello di leader che non strilla, atipico in un momento in cui appare vincente il capopopolo aggressivo e provocatorio tipo Berlusconi, Renzi, Salvini, Grillo, capace di stare sull'onda comunicativa».

Gli viene rimproverato di non collocarsi chiaramente nel solco della ventennale esperienza berlusconiana.

«Evita di attirare troppo l'attenzione sul fatto che Berlusconi la rivoluzione liberale non l'ha mai realizzata. Ormai ha mollato gli ormeggi ma non si scopre troppo e si tiene diversi percorsi aperti, conserva una certa ambiguità sulla sua futura collocazione».

Secondo lei il leader azzurro davvero crede in lui?

«Quello di Berlusconi è un meccanismo che ha usato spesso: vede le condizioni a dir poco non brillanti di Fi e mette in competizione Parisi con il partito e i suoi colonnelli, da Toti a Romani a Brunetta. Dice: fatemi vedere che sapete fare! Toti e Parisi incarnano due progetti diversi di Fi, quello che interloquisce con la Lega e quello che si rilancia indipendentemente. Berlusconi, poi, non ha mai amato i partiti che ha fondato, ha cambiato nome e personaggi. Ora mette un pungolo, costringe tutti a darsi una mossa. Accarezza da mesi l'idea di cambiare tutto, ma sta a vedere: se Parisi si sgonfia punterà su Fi oppure farà il contrario. Ho l'impressione che sarà comunque Berlusconi a decidere».

Salvini chiude a Parisi e minaccia di correre da solo.

«Ma ci sono diverse anime anche nella Lega. A Pontida Salvini ha fatto un discorso lepenista, Bossi ha parlato di secessione, Maroni e Zaia restano ben più pragmatico-governativo.

Anche nel Carroccio la posizione verso di lui è attendista».

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