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Ecco l'effetto «quota 100»: pensioni ridotte di un quinto

Con il superamento della Fornero, l'assegno rischia tagli superiori al 20%. La Lega smentisce

Ecco l'effetto «quota 100»: pensioni ridotte di un quinto

Un taglio che potrebbe variare dal 5 al 21 per cento. È quello che si prospetta per coloro che si apprestano ad aderire a «quota 100», la riforma pensionistica che il governo gialloverde inserirà nella manovra. Secondo le stime della società Tabula dell'ex consulente di Palazzo Chigi Stefano Patriarca, pubblicate ieri dal Sole 24 Ore, il pensionamento anticipato a 62 anni per un operaio con 38 anni di contributi e 1.600 euro di stipendio netto potrebbe costare fino al 21% di assegno Inps. Con le regole della legge Fornero attualmente in vigore il soggetto in questione potrebbe pensionarsi solo nel 2024 quando raggiungerebbe i 67 anni e tre mesi stimati sulla base dell'adeguamento dell'età pensionabile.

«Escludo assolutamente che la Lega voglia fare quota 100 con queste condizioni penalizzanti», ha replicato il capogruppo leghista al senato, Massimiliano Romeo ieri a Stasera Italia. Il sottosegretario del Carroccio all'Economia, Massimo Bitonci, ha invece sottolineato che «quota 100» è una «riforma strutturale» e che non terminerà in caso di peggioramento del quadro macroeconomico. Anzi, il ministro del Lavoro Di Maio sta lavorando a un congelamento degli adeguamenti di età e anzianità contributiva in base all'aspettativa di vita.

La ragione della decurtazione stimata da Tabula è legata al fatto che il dipendente che decide di ritirarsi dal lavoro perderebbe cinque anni e tre mesi di versamenti contributivi e di annessa rivalutazione. A questo fattore bisognerebbe aggiungere un coefficiente di trasformazione (il parametro per convertire il montante dei contributi versati in assegno mensile) più basso di quello che gli sarebbe stato applicato nel 2024. Con un anticipo di tre anni e tre mesi un lavoratore con 40 anni di contributi godrebbe di una pensione ridotta in media del 14 per cento. La differenza si spiega in ragione dei due anni di contributi in più rispetto all'operaio considerato in precedenza che lo avvicinano maggiormente alla pensione anticipata che sulla base della legge Fornero l'anno prossimo salirà a 43 anni e 3 mesi di contribuzione. Nella formula è ovviamente ricompreso il calcolo della parte retributiva delle pensioni per coloro che avevano 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 quando scattò la riforma Dini.

La rinuncia all'assegno pieno, aggiunge Tabula, oscillerebbe pertanto tra l'11%e il 5% per un impiegato di 64 anni con una retribuzione di 2mila euro netti mensili che sceglie di ritirarsi con anni di contribuzione che variano dai 40 ai 42. L'equazione da applicare è sempre la medesima con una lieve differenza. Secondo quanto spiegato da Patriarca i 65 anni rappresentano l'età di pensionamento adeguata con una contribuzione di almeno 41 anni per un assegno senza decurtazioni.

La riforma del tandem Salvini-Di Maio ha però un altro aspetto paradossale. A valle della penalizzazione per i lavoratori che scelgono di ritirarsi in anticipo c'è un aggravio di costi per lo Stato. La società di consulenza previdenziale ha infatti calcolato che il pensionato che si ritira a 62 anni e 38 di contributi costa quasi 100mila euro di maggiori uscite per la spesa previdenziale, cifra che scende a 32.500 euro se il 62enne si pensiona con 42 anni di contributi.

«Posto che non c'è nulla di ufficiale, se l'intervento fosse quello anticipato, saremmo in presenza dell'ennesima riforma non strutturale che non risolve il problema del mercato del lavoro», spiega il presidente di Fonage (Fondo pensione agenti di assicurazione), Francesco Libutti.

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