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Ecco il partito del «non voto» tra agguati e giravolte grilline

Da Padoan a Letta, chi complotta. Renzi: «I 5 stelle vogliono che litighi col Cav». L'attacco di De Benedetti

Ecco il partito del «non voto» tra agguati e giravolte grilline

Di piani più o meno segreti, più o meno strampalati, il partito del «non voto» ne sta escogitando tanti. Uno al dì. Qualche giorno fa il senatore Massimo Mucchetti teorizzava, addirittura, che la manovrina d'inizio estate potrebbe addirittura naufragare sugli scogli del Senato, per mano degli scissionisti del Pd di Bersani, e compagni, e della minoranza del Pd di Orlando, e compagni.

L'argomento del contendere sulla carta sarebbero i famigerati voucher. La ragione vera, un po' contorta, creare l'incidente per far cadere il governo ora, rendendo così obbligato il passo di formarne subito un altro per approvare quella manovrina che per il momento dovrebbe tenere buona l'Europa. La conseguenza, secondo suddetto piano, è che salterebbero le elezioni autunno, perché non si può certo formare un governo a giugno e farlo cadere a settembre. Un piano un po' capzioso. Forse più complesso della teoria della relatività di Einstein, ma sicuramente meno esatto. Matteo Renzi a questo piano non crede, ma ce ne sono altri cento, visto che in questi giorni ne sta vedendo di tutti i colori.

Eh sì, c'è mezzo Palazzo impazzito, c'è chi ce l'ha con la legge elettorale, chi ce l'ha con il leader del Pd, ma la linea Maginot degli insofferenti, il punto su cui si catalizza la pressione degli oppositori è il «no» al voto anticipato. Da chi è formato questo schieramento «trasversale»? È stato lo stesso Renzi a spiegarlo ai suoi: «Napolitano è sul piede di guerra perché non vuole le urne anticipate. De Benedetti fuori di sé: è spaventato già solo al pensiero di un governo con Berlusconi. E mi spara addosso. Letta manovra per mettere in piedi uno schieramento che parta da lui fino a Pisapia. Prodi e Veltroni sono sempre più irrequieti alla finestra. Per non parlare dei cosiddetti poteri forti, o presunti tali: il ritorno della Politica scoprirebbe il loro bluff». All'elenco per ora il segretario del Pd non aggiunge i grillini: cioè l'ultimo spezzone che, se si aggiungesse al partito del non voto, farebbe saltare il tavolo dell'intesa e manderebbe il Paese a votare con il Consultellum, ma chissà quando.

Solo che sarebbe davvero un paradosso, vedere Grillo e i suoi, che da anni reclamano il ritorno alle urne, diventare l'«ago della bilancia» che determina il rinvio delle elezioni alla prossima primavera. Il gioco degli altri, infatti, era fin troppo scontato. Il presidente del partito del «non voto», il vecchio Nap, non avrebbe potuto fare altrimenti: per lui, benedire il ricorso alle urne anticipate, sarebbe stato come abiurare. Avrebbe disconosciuto la «dottrina», perché di questo si tratta, che ha ispirato i suoi nove anni di permanenza al Quirinale. Un po' troppo. Alla sua veneranda età non si cambia. L'Ingegnere, invece, ha preso la tessera numero 2 del partito del «non voto, mettendo in frigorifero la numero 1 del Pd, per un riflesso condizionato: più il Cav ritorna centrale nel gioco politico e più lui si arrabbia. Per lui il resto conta poco. «Mi mancava solo di vedere - ha ironizzato Renzi con i suoi - la Repubblica che indica in Alfano il nuovo maître-à-penser della sinistra e in Belpietro il nuovo eroe. A questo punto le ho viste tutte». Enrico Letta, naturalmente, è mosso da un sentimento di revanche su Renzi: un po' come l'addio di Veltroni per l'Africa, non vede l'ora di tornare in Italia dal suo esilio a Parigi e di rimangiarsi la sua scelta di vita di accademico. Prodi e Veltroni, al solito, scrutano i movimenti nella sinistra, per decidere dove gettarsi al momento opportuno. «Il professore, però, - fa presente Francesco Garofani, un esperto dell'argomento - da sei mesi è mosso da un nuovo protagonismo. Si vede più spesso sui giornali e nelle Tv. E poi, nel dizionario di ciò che si muove a sinistra del Pd, ha inserito di nuovo la parola centro-sinistra».

E, infine, ci sono i soliti poteri forti, come il governatore di Bankitalia, Visco, il presidente onorario di banca Intesa, Bazoli, con il loro punto di riferimento nel governo, il ministro dell'Economia Padoan. Un giro dove il nome di Renzi non è stato mai ben accetto, per cui non aspettano altro che pronunciare il vaticinio: se si andasse a votare in autunno i mercati esploderebbero. La profezia più scontata del momento, quella su cui il vecchio Nap ci ha vissuto per anni, usandola, ad esempio, per far cadere il governo del Cav e far nascere quello di Monti. «Non capisco ancora perché - si chiede dubbioso Ernesto Auci, deputato di Scelta civica e per anni uomo ombra dell'avvocato Agnelli -: l'anticipo di tre mesi della data del voto dovrebbe provocare un terremoto. O anche perché il Pd dovrebbe sobbarcassi da solo il peso della legge di Stabilità in autunno, per votare due mesi dopo... Mah!».

Ebbene, se Grillo facesse saltare l'intesa sulla legge elettorale, abbraccerebbe, più o meno consapevolmente, questa bella compagnia di teatranti. Una contraddizione: entrerebbe a buon diritto in uno schieramento che neppure la più rischiosa e fantasiosa ingegneria genetica prestata alla politica, sarebbe capace di partorire. Basta pensare che l'altra sera in Tv il fido Alessandro Di Battista, ha accusato il presidente del partito del «non voto», cioè Napolitano, di essere stato agente del Kgb, della Cia, nonché ambasciatore dei poteri oscuri e forti. Insomma, se lo avesse accusato di essere l'inventore delle scie chimiche, avrebbe usato tutte le possibili accuse, ma proprio tutte, dell'eclettico armamentario grillino. Ma dicendo no al modello tedesco e favorendo il rinvio del voto, Grillo, può dire ciò che vuole, andrebbe, nei fatti, a braccetto con il vecchio Nap. Inoltre, sia pure per via indiretta, darebbe la possibilità all'attuale governo, non legittimato dal voto degli italiani, di approvare la prossima legge di stabilità, con tutte le manovre economiche connesse. Insomma, si assumerebbe grosse responsabilità. Detto questo il rischio c'è. La base parlamentare è interdetta: «Speriamo che la nuova consultazione con la base dica no all'intesa - sperava ieri in Transatlantico il deputato 5stelle Giorgio Sorial - così ci toglie dall'impaccio». Un «voltafaccia» che, se si avverasse, dimostrerebbe che a parte Grillo e Casaleggio, i «portavoce» del movimento possono essere considerati organici al partito del «non voto» per la semplice ragione che loro, come l'ultimo dei peones che sia aggira a Montecitorio o a Palazzo Madama, non hanno nessuna voglia di interrompere prima del tempo la legislatura. «Altroché guerra alle pensioni dei parlamentari, altroché elezioni - osservava sorridente ieri il capogruppo dei centristi, Saverio Romano - finalmente i grillini gettano la maschera: sono come noi! Anche per loro la rielezione è un terno al lotto, per cui si tengono stretta la legislatura».

Finirà così? Il rischio è grosso. L'«intesa a quattro» è appesa al voto segreto su un emendamento. E mentre Grillo e Casaleggio convocano la consultazione della rete, gli ambasciatori grillini continuano a recitare nelle trattative una sceneggiatura che ricorda quella che ridicolizzò il povero Bersani. «I grillini dicono - raccontava Renzi ai suoi da Pontassieve - che se si introduce un premio che porta al 51% una lista che arriva al 40%, sono con noi. Vogliono farmi litigare con Berlusconi. Ma questa era un'intesa a quattro e io, che che ne dicano, sono uno che rispetta i patti. Si sappia». Un atteggiamento che risuonava pure a Palazzo Grazioli. «Noi - era l'indicazione che il Cav ha dato ai suoi - andiamo avanti sull'accordo siglato. Senza modifiche.

Pacta sunt servanda».

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