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Ecco le prove indiane a favore dei marò

Sul «Giorno» i documenti di Nuova Delhi al Tribunale del mare. Dalle munizioni alle testimonianze, l'accusa non regge

Gli indiani si incastrano da soli sul caso marò. Fra gli allegati consegnati al tribunale del mare di Amburgo, che ha sospeso la giurisdizione di Delhi sul caso, c'è pure l'autopsia sui due pescatori uccisi. L'India considera Massimiliano Latorre e Salvatore Girone colpevoli, senza processo, di aver sparato deliberatamente. Peccato che la misura del proiettile estratto dal corpo di una delle due vittime, Valentine Jelestin, non corrisponda a quello del calibro Nato dei fucili mitragliatori Beretta in dotazione ai marò. Lo rivela il quotidiano il Giorno grazie agli allegati indiani ottenuti da Luigi Di Stefano, uno dei periti della strage di Ustica, che ha seguito fin dall'inizio l'odissea dei fucilieri di Marina del reggimento San Marco.

L'anatomo patologo K. S. Sasikala esaminò i cadaveri e poi fu «silenziato» dalle autorità indiane. Il documento del suo referto è l'allegato numero 4. Nella seconda pagina viene descritto il proiettile estratto dal cervello di Jelestin. Il patologo misura l'ogiva lunga 31 millimetri. L'impatto può averla rimpicciolita, ma si avvicina molto di più al proiettile calibro 7,62 dell'Ak 47, il fucile mitragliatore russo, che è lungo 39 millimetri. Uno schiacciamento di 8 millimetri risulta compatibile.

I marò avevano in dotazione il Beretta Ar 70/90 che utilizza pallottole Nato calibro 4,56 di 45 millimetri. Difficile, se non impossibile che il colpo si rimpicciolisca di ben 14 millimetri. La circonferenza del proiettile fatale misurata dall'esperto indiano è di 20 millimetri alla base e 23 nella parte più larga. Anche queste misure sono poco compatibili con le cartucce usate dai marò. Se fosse stato veramente un kalashnikov ad uccidere i pescatori l'accusa ai fucilieri di Marina decade completamente. L'Ak 47 viene usato dalla guardia costiera dello Sri Lanka, che ha più volte sparato e ammazzato pescatori indiani accusati di gettare le reti al di fuori delle loro acque.

Altra assurdità sono le deposizioni identiche allegate dagli indiani di due pescatori che erano a bordo con le vittime. Il comandante del peschereccio Freddy Bosco ed il marinaio Kinserian dichiarano senza ombra di dubbio, che alle 16.30 del 15 febbraio 2012 il loro peschereccio «finì sotto il fuoco non provocato e improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi». Ovviamente avevano individuato i marò pistoleri e storpiano il nome del mercantile italiano difeso dai fucilieri per le minacce di attacchi dei pirati alla stessa maniera dimenticando la «e» finale. Un verbale fotocopia, che ribadisce la linea ufficiale: i marò sono colpevoli dei «tiri malvagi» che hanno provocato la «tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jelastin, e Ajesh Binke».

Fra i documenti indiani si scopre che il Gps del St. Anthony, il peschereccio colpito, è stato consegnato dal comandante Bosco alla polizia, assieme ad un computer malridotto, non all'arrivo nel porto del Kerala con i due cadaveri, ma ben otto giorni dopo, il 23 febbraio. A pensar male c'era tutto il tempo per manomettere i dati registrati dall'apparecchio. Non è mai stato chiarito perché lo stesso Bosco, una volta sceso a terra, davanti alle telecamere indiane, abbia dichiarato che la sparatoria era avvenuta alle 21.00, di sera e non alle 16.30, nel mezzo del pomeriggio.

Un altro dettaglio interessante, che salta fuori dai documenti, è l'apparizione del vero proprietario del St. Anthony, un certo Prabhu. Il titolare decide di affondarlo perdendo inspiegabilmente una fonte di guadagno. «Misteri ed incongruenze sono tanti - spiega Di Stefano a il Giornale - In sole 5 paginette la polizia del Kerala dimostra, dopo aver ispezionato la petroliera italiana, il peschereccio colpito e visto le salme, che Latorre e Girone hanno sparato e ucciso. Questo è un castello di carte».

Fra gli allegati ufficiali indiani non manca la fantasiosa ricostruzione della presunta fuga e caccia alla nave fantasma, che ha sparato ai pescatori. In realtà la Lexie aveva fatto subito marcia indietro verso il porto di Kochi quando gli indiani l'hanno richiesto. Il risultato è che i marò subiscono questa odissea da «1.300 giorni», come ha twittato ieri il deputato di Forza Italia, Elio Vito. Un' «ingiusta e illegale detenzione da parte dell'India - scrive - alla quale i vari governi italiani che si sono succeduti, da Monti a Renzi non hanno saputo mettere fine.

Vergogna! Vergogna! Vergogna! #marò liberi».

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