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Emporio Armani accorcia gli orli e scopre le gambe

Macrocinture con il logo con le iniziali EA Sfila coloratissima la donna di Marni

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«Le gambe sono il compasso con cui le donne misurano il mondo» dice qualcuno in un vecchio film di Truffaut e Armani conferma con la sfilata Emporio di ieri: un'ode alla gioia e alla libertà a cominciare dalle lunghezze. Sotto c'è quasi sempre il corto che dona subito un coup de jeunesse come dimostra Brigitte Macron, splendida sessantenne con le gonne tagliate a cinque dita dalla rotula. Nel caso di Emporio gli orli si fermano ancora più in su. Sopra, però, ci sono lunghi e avvolgenti cappotti in eco-pelliccia oppure in ciniglia effetto pelo nelle due tinte più brillanti di questa bella collezione: celeste e verde fluo. Quest'ultimo compare anche nel logo rielaborato in mille modi: dal lettering a manciate sul bomber in velluto nero, alle iniziali EA che fanno da macro cintura.

Tutto ha un certo non so che di notturno e dinamico: il minidress con innumerevoli canottiglie, la pelliccia per così dire vegana nera/blu e i modernissimi stivali texani con tacco cubano sghembo che rappresentano con i mocassini dal tacco esagonale un buon esempio di ricerca del nuovo sul fronte accessori. Francesco Risso, 36 anni, da due direttore creativo di Marni, trova una straordinaria e piacevolissima armonia nella sua tumultuosa narrazione estetica. «Ho immaginato tante donne diverse che urlano con il colore un messaggio pluralista» spiega per poi aggiungere di essere ossessionato dalla parola «elementare» che fa un po' ridere quando viene avvicinata al nome Watson, l'assistente di Sherlock Holmes, ma in realtà è una cosa di grande bellezza. Insomma l'idea di fondo della donna Marni per il prossimo inverno è vestirsi con forme elementari ma coloratissime (anche qui verde bandiera e poi rosso con rosa, blu e nero oppure rosso-cammello-nero) oltre che decorate da incredibili fantasie.

Così su un delizioso cappotto a campana compaiono mille musi di gatto nervosamente tratteggiati a matita mentre sul divino pastrano stretto in vita c'è una specie di camouflage multicolor fatto da un'immagine di volti umani ripetuta all'infinito. Gran bella prova come del resto quella di Massimo Giorgetti per MSGM: un'elettrizzante lettera d'amore a Milano. La sfilata apre con il nero glamour dei primi anni Novanta e cita l'indimenticabile «Milano da bere» con sciarpe e pullover che indicano i locali-simbolo della città: il bar Basso, la Pasticceria Cucchi, lo storico Jamaica e il Pravda di via Vittadini.

Non manca la faccia di Manzoni su felpe e T-shirt da abbinare a capi fantastici come la gonna effetto pitone più grosso pullover verde fluo oppure rosa bubble gum. Il tutto con deliziosi sandali geneticamente modificati in sneaker e con una sorta di progetto alle spalle: think local act global. È l'esatto contrario di quel che fa Stella Jean, ma per uno strano caso della moda questi due estremi si toccano producendo il nuovo. La bella e brava designer di origini creole che per prima ha creato un brand multiculturale, parte da una storia bellissima: l'amicizia nata alle Olimpiadi di Berlino nel 1939 tra Jesse Owens e Luz Long: il velocista nero che fece infuriare Hitler con la sua incredibile vittoria e l'atleta ariano che sarebbe poi morto in Italia con la Wermacht. Da qui un nuovo modo di fare lo sport couture. Con i propri stilemi estetici e le proprie fonti produttive da Haiti e dall'Africa.

Colori bellissimi, forme speciali e ricami da urlo con soggetti atletici.

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