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Eni ancora nel mirino. Così i pm azzoppano le grandi aziende

Dopo i nove manager indagati e poi assolti a Milano ora è la procura di Roma a inquisire altri due dirigenti. Il precedente di Finmeccanica

Eni ancora nel mirino. Così i pm azzoppano le grandi aziende

Aziende nel mirino. Dopo i guai di Finmeccanica in India e dell'Eni in Nigeria, le toghe non sembrano voler mollare l'osso delle grandi realtà industriali italiane. Ora è di nuovo il cane a sei zampe a finire sulla graticola per evasione di accise. Già nel 2012, nove manager Eni erano stati indagati e poi assolti a Milano per un presunto mancato versamento di 1,7 miliardi. Ora è Roma a indagare e i manager coinvolti sono solo due. Ma anche se la cifra dell'evasione che la procura avrebbe accertato è ben più modesta - due milioni di euro - i pm sparano alto, ipotizzando che quel denaro servisse a creare «nero», o comunque «impiegato in attività non lecite, trattandosi di provento di reato».

L'evasione, spiega la procura, avveniva caricando sulle autobotti più carburante di quello dichiarato (su cui si pagavano le accise), ma fatturando ai distributori l'intero carico, compreso quello «fantasma». Il nucleo di polizia tributaria della Gdf di Roma ha calcolato, tra 2007 e 2012, circa 5,5 milioni di litri di eccedenze tra Gpl benzina e gasolio, per un'evasione di quasi 2 milioni di euro. Dopo le prime 30 perquisizioni di giugno scorso nelle sedi Eni che si occupano di prodotti petroliferi, due giorni fa è finito nel mirino l'ex direttore generale della Divisione Refining & Marketing dell'Eni, Angelo Caridi, indagato insieme al suo successore Angelo Fanelli e a un imprenditore di trasporto carburanti per associazione per delinquere e violazione del testo unico sulle accise. Gli uomini delle Fiamme gialle hanno perquisito l'ufficio di Caridi a Eni servizi e sette abitazioni riconducibili a lui o alla moglie tra San Donato Milanese, Roma e Reggio Calabria. Ma i magistrati romani sembrano puntare proprio l'Eni, o almeno il comparto refining . Per i pm Palazzi e Margio vi sono «gravi indizi» che «all'interno degli uffici quantomeno della divisione Refining & Marketing dell'Eni ubicati in Roma vi siano dei soggetti che ormai da anni evadono le accise su carburanti caricati in eccedenza sulle autobotti». Un business portato avanti, per la procura di Roma, sulla base «non di un semplice accordo criminale meramente occasionale e accidentale», bensì «diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso per la commissione di una serie indeterminata di delitti». L'Eni già a caldo aveva minimizzato l'indagine su quella che ha definito «attività industriale, di non particolare rilevanza, della ex Direzione generale Refining & Marketing», e assicurando comunque «massima collaborazione» ai magistrati.

Che però, come detto, la mettono giù dura. E rimarcano come la società «fosse informata di queste eccedenze» di carburante sulle autobotti, in difformità rispetto ai documenti di trasporto. Le toghe romane bollano anche come «poco verosimile» la giustificazione difensiva del colosso italiano dell'energia, «che imputerebbe le registrate eccedenze di Gpl alle variazioni di temperatura» tra carico e consegna. Ma, mettono nero su bianco in procura, in inverno il volume sarebbe dovuto diminuire e non - «contrariamente a ogni legge fisica» - aumentare. Insomma, per la procura quello emerso analizzando le quantità di carburante registrate ed effettive in uscita dalle basi di carico di Napoli, Livorno e Gaeta sarebbe un sistema ben collaudato, forse anche più esteso.

Di certo, in attesa di «comprendere a chi e a che cosa fosse destinato il denaro “risparmiato”» con l'evasione, non c'è pace per ciò che resta della grande industria italiana.

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