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Epurata tutta la sicurezza. Turchia è ormai il posto più pericoloso del mondo

Le "purghe" di generali e truppa dopo il golpe fallito hanno indebolito le forze armate

Epurata tutta la sicurezza. Turchia è ormai il posto più pericoloso del mondo

Una collaudata regola della Storia insegna che a ogni colpo di Stato fallito segue un'epurazione: tanto più profonda quanto paranoico è il dittatore che l'ha scampato, e tanto più dura quanto più determinata è la volontà dell'uomo forte di rendere assoluto il suo potere. Maestro di queste purghe era Stalin, che ci aggiungeva la non trascurabile aggravante di inventarsi di sana pianta i complotti contro di lui che servivano a giustificare repressione e fucilazioni di massa. Né è il caso di dimenticare la ferocia con cui Adolf Hitler si applicò alla vendetta contro i congiurati che avevano cercato di assassinarlo con una bomba nel 1944.

Non è detto tuttavia che le epurazioni non portino con sé anche conseguenze indesiderate. La più classica è l'indebolimento delle forze armate. Purgata da Stalin nel 1937, ad esempio, l'Armata Rossa priva di generali competenti come Tuchacevski finito al muro senza colpa, si trovò inizialmente in grande difficoltà davanti all'invasione tedesca di quattro anni dopo. Nei nostri travagliati tempi, l'esempio di problemi di questa natura è fornito dalla Turchia. Qui, dopo il fallito putsch militare dello scorso luglio, l'ambizioso «sultano» Recep Tayyip Erdogan ha proceduto a migliaia di arresti tra gli alti ufficiali del suo esercito. Ha così portato a termine in poche settimane ciò che aveva in mente di compiere in tempi più lunghi, approfittando dell'insufficiente determinazione di coloro che volevano disarcionarlo. Ora però forze armate e polizia sono indeboliti e non è improbabile che il dilagare di attentati in Turchia si spieghi anche con il calo della qualità degli ufficiali preposti al comando delle forze di sicurezza, ma anche della preparazione della truppa.

Qualche cifra è utile per chiarire il concetto. Appena una settimana dopo il fallito colpo di Stato, la metà dei generali turchi erano già stati epurati: significa circa 150 alti ufficiali al vertice di esercito, marina e aviazione, ai quali vanno aggiunti circa 1100 alti ufficiali espulsi «per indegnità». Ai vuoti che si sono così creati si è sopperito attraverso promozioni dai gra di inferiori. Nei mesi successivi gli arresti sono proseguiti, includendo alti ufficiali in servizio presso la Nato di cui la Turchia è membro. Ma le purghe hanno riguardato anche i ranghi inferiori, con decine di migliaia di espulsioni: lo conferma la decisione annunciata un mese fa di arruolare trentamila nuove unità nelle forze armate (diecimila nuovi sottufficiali, undicimila soldati semplici professionisti e quasi diecimila provenienti dai licei e dalle altre scuole militari).

Difficile dubitare del fatto che le forze armate turche, ora certamente fedeli al presidente islamista che vuole farsi dittatore, abbiano perduto in fatto di qualità. Anche perché la strategia dell'«uomo solo al comando» toglie autonomia ai generali che a lui devono rispondere. Ed è altrettanto certo che forze armate siffatte sono meno affidabili per gli alleati della Turchia (Italia inclusa), che si trovano oltretutto ad avere a che fare con un alleato che ormai guarda a Mosca come nuovo compagno di strada.

Ma non è solo un problema di qualità. Inserendo nei ranghi più alti uomini di provata fede islamica al posto di laici kemalisti, Erdogan si è assunto il rischio di ritrovarsi al vertice delle forze armate qualcuno più islamista di lui.

Con tutte le pericolose ricadute del caso.

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