Politica

Erdogan arresta i leader del partito dei curdi: Turchia verso il regime

Manette per undici deputati accusati di terrorismo. Il Pkk risponde con un attentato

Noam Benjamin

Erdogan ammanetta l'opposizione curda. Selahattin Demirtas e la collega Figen Yüksekdag, co-leader del partito pro curdo Hdp, sono stati arrestati venerdì mattina assieme ad altri nove deputati della stessa formazione, la terza per seggi in Parlamento. L'accusa per i membri del partito progressista è terrorismo, la stessa cioè che, a partire dal fallito golpe dello scorso 15 luglio, ha permesso al presidente turco e al suo primo ministro Binali Yildirim di incarcerare circa 40mila fra funzionari, poliziotti, militari, giudici e giornalisti considerati nemici del regime. Ai rappresentanti dell'Hdp gli inquirenti turchi contestano la mancata comparizione a testimoniare in una serie di procedimenti contro il Pkk, la formazione terrorista curda di ispirazione marxista. Un rifiuto che, nella Turchia governata dalla legge di emergenza, equivale a un aperto sostegno ai separatisti. Neppure i membri della Grande assemblea nazionale così si chiama il Parlamento unicamerale di Ankara sono al riparo dalla furia del sultano: il primo ministro ha ricordato che lo scorso maggio con 376 voti su 550 i deputati hanno rinunciato all'immunità parlamentare. Con il passare delle ore tre parlamentari sono stati rimessi in libertà, ma è stato loro proibito di viaggiare all'estero; altri tre invece sono sfuggiti agli arresti solo perché già fuori dal territorio turco.

A difesa dell'Hdp è sceso in campo Kemal Kilicdaroglu, leader dei repubblicani (Chp), il primo partito d'opposizione. «Chi arriva al potere con le elezioni se ne deve andare con le elezioni», e chi non si attiene questo principio «è un macellaio della democrazia». Per tutta risposta il regime a trazione islamica del duo Erdogan-Yildirim ha imposto uno stop ai social media e alla messaggistica sui cellulari. Poco dopo è arrivata la risposta del Pkk che ha fatto esplodere un'autobomba a Diyarbakir provocando nove morti (fra i quali due poliziotti) e un centinaio di feriti. Nella prima città curda del paese giorni prima erano stati arrestati i due co-sindaci dell'Hdp. Nel pomeriggio di venerdì la polizia turca ha disperso con manganelli e l'uso di spray urticante una serie di manifestazioni pro-Hdp inscenate a Istanbul, Ankara, Smirne e ad Antalya.

Reazioni alla decapitazione dell'Hdp si sono avute anche all'estero. La responsabile Esteri della Commissione Ue, Federica Mogherini, si è detta «molto preoccupata» dell'escalation in Turchia. Imitato dai colleghi delle tre monarchie scandinave, il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha convocato l'ambasciatore turco a Berlino. Il capo della diplomazia tedesca ha anche dichiarato che «nessuno mette in dubbio il diritto della Turchia di combattere il terrorismo, ma questa lotta non deve giustificare il silenziamento dell'opposizione». Parole a cui ha replicato con durezza il ministro della Giustizia di Ankara, Bekir Bozdag: »La Germania è un paese in cui la democrazia e le libertà valgono solo per i tedeschi» e non evidentemente per gli oltre tre milioni di cittadini di origine turca. Contro Berlino si era espresso il giorno prima lo stesso Erdogan spiegando che fornendo riparo all'ex direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar, «i tedeschi danno asilo ai terroristi».

La spirale autoritaria e paranoica del regime turco sembra solo agli inizi.

Giorni fa il ministro per gli Affari europei, Ömer Celik, ha annunciato il prolungamento dello stato di emergenza come «unico mezzo per estirpare la minaccia gulenista», mentre il consigliere di Erdogan, Yigit Bulut, ha spiegato in televisione che il Pkk è una creatura voluta da Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania per indebolire la Turchia.

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