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"Errore la sponda con i grillini" Così ha vinto la linea estremista

Tra i ribelli prevale la tesi che i pentastellati hanno «tradito la giusta causa come con la Tap»

"Errore la sponda con i grillini" Così ha vinto la linea estremista

Isolamento politico e impunità giudiziaria: nel risveglio della violenza contro la Tav è facile cogliere l'effetto congiunto di due fattori che spingono la galassia antagonista verso forme di protesta sempre più estreme. E che contribuiscono anche ad alimentare il clima (un po' grottesco, visto dall'esterno) di avanguardia eroica che i «duri» della Val Susa si sono costruiti addosso da soli, e che ha il suo peso nell'attirare nelle file del movimento giovani e giovanissimi.

L'isolamento politico ha un responsabile preciso, ovvero il Movimento 5 stelle, che della opposizione all'Alta velocità ferroviaria aveva fatto una sua bandiera elettorale, e il cui successo alle ultime amministrative aveva messo il movimento antagonista davanti a scelte che lo avevano spaccato in profondità. Accettare l'alleanza tattica con i grillini, farne una sponda istituzionale per fermare l'avanzata dei lavori? O continuare la battaglia in solitudine, puri e duri contro ogni contaminazione parlamentare? Su questa alternativa le varie componenti della galassia No Tav si sono confrontate anche aspramente, ma intanto - e per parecchi mesi - il nuovo scenario aveva messo un freno alle azioni vandaliche contro i cantieri. Ma la diffidenza verso i seguaci di Grillo era rimasta palpabile, soprattutto dopo la loro scelta di allearsi a Roma con l'odiato Salvini.

I fatti, poi, hanno finito con dare ragione a chi, tra gli antagonisti, invitava a stare alla larga dalle lusinghe dei 5 stelle. La prova generale del «tradimento» era stata la resa dei grillini sul fronte del Tap, il gasdotto in corso di costruzione nel basso Adriatico, altro obiettivo storico delle battaglie antagoniste. E quando, tra possibilismi e pragmatismi, anche sulla Tav il partito di Di Maio ha iniziato a tentennare, l'ala dura dei contestatori ha potuto dire: avevamo ragione noi. Se ne dovette rendere conto l'allora vicesindaco di Torino, Guido Montanari (recentemente epurato dalla Appendino) che l'8 dicembre andò in piazza con fascia tricolore al corteo dei No Tav e venne sommerso di insulti. Da quel giorno, l'ipotesi di una alleanza tattica con i grillini è sparita dall'orizzonte del movimento no-Tav, e la leadership è stata saldamente ripresa in mano dall'ala ultras, a partire dagli antagonisti del centro sociale Askatasuna. L'Alta velocità non verrà fermata in Parlamento, questa è la linea, ma fisicamente, in Val Susa, costi quel che costi, rendendo la vita impossibile ai cantieri.

Da questo punto di vista, decisioni recenti della magistratura hanno contribuito a convincere il «movimento» che azioni anche radicali possano essere realizzate senza conseguenze giudiziarie pesanti. Non è un caso che a guidare l'assalto di sabato sera fossero tre esponenti di Askatasuna cui il tribunale del Riesame di Torino aveva appena revocato gli arresti domiciliari.

Ma è istruttivo anche leggere le reazioni entusiaste che su siti contigui al movimento ha suscitato la liberazione da un centro di espulsione di Divine Umoru, il nigeriano arrestato a Bologna con l'occorrente per produrre decine di chili di esplosivo, in stretto contatto con esponenti del mondo anarchico torinese.

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