Politica

Euroflop sui migranti: rischio arrivi dall'Albania

I paesei balcanici in rivolta contro Germania e Austria Si teme la riapertura delle rotte di scafisti nell'Adriatico

Negli auspici del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker il vertice sui Balcani di ieri a Bruxelles doveva trovare una soluzione allo tsunami umano che nell'ultima settimana ha spinto 56mila migranti verso la Slovenia e i confini dell'Austria. Ma il summit, come sancisce nella tarda serata di ieri il premier bulgaro Boyko Borisov, è un solenne fallimento e si chiude «senza alcun accordo finale».

Al vertice partecipavano, sotto la regia di Vienna e Berlino, tutte le nazioni dei Balcani, comprese Serbia e Macedonia ancora fuori dall'Unione. Unica grande esclusa l'Italia, nonostante l'evidente rischio di diventare la valvola di sfogo per i migranti assiepati ai suoi confini. E fonti Ue esprimono preoccupazione per la possibilità che si riapra l'antica rotta per i migranti dall'Albania all'Italia visto che le frontiere di terra sono chiuse. Alla resa dei conti l'unico risultato è il trionfo dell'ipocrisia. L'ipocrisia di un'Ue convinta di risolvere la questione affidando alla Germania il ruolo di maestrina e ai Paesi dei Balcani quello di studenti indisciplinati. Certo il serpentone di migranti che sommerge la Slovenia è anche la conseguenza dei muri ungheresi e della sollecitudine con cui Zagabria lo spinge verso Lubiana. Ma quel serpentone non si sarebbe animato se la Turchia non avesse spalancato le proprie frontiere e se Angela Merkel non avesse evocato un'«accoglienza senza limiti».

E così mentre Germania e Austria minacciano di chiudere le frontiere trasformando i Balcani in un grande campo profughi la rabbia monta. «Se Germania e Austria chiudono i confini li chiuderemo anche noi» - esordisce il bulgaro Borisov. In quel clima naufraga anche la proposta di affidare ai Paesi balcanici il compito d'identificare i migranti e bloccarli se il paese verso cui sono diretti non li vuole. Proposta messa all'ordine del giorno ed evocata da una Cancelliera che auspica «misure eccezionali» per una «situazione eccezionale». Misure eccezionali basate, spiega, sulla giusta «suddivisione dei profughi» e sulla «protezione dei confini esterni» attraverso i centri d'identificazione dei richiedenti asilo in Grecia. Ma alla fine di eccezionale c'è soltanto la rabbia dei leader balcanici in rivolta contro Europa e Germania.

A guidare la ribellione c'è il premier croato Zoran Milanovic, affiancato dal collega ungherese Viktor Orbàn e dal greco Alexis Tsipras. «Chiunque abbia scritto questa proposta non capisce cosa succede... è impossibile trattenere questa gente» afferma Milanovic ricordando che l'unica via d'uscita è risolvere «il problema là dove nasce ovvero al confine tra la Turchia e la Grecia. Tutto il resto è perdita di tempo». «Se la Grecia non è in grado di difendere le sue frontiere dobbiamo - suggerisce Orban - andare là a difenderle noi». «Se non siamo in grado di trovare un accordo con questo Paese, ossia la Turchia - conclude Tsipras - sarà difficile trovare una soluzione». Ed un altro sinistro avvertimento arriva dal premier sloveno Miro Cerar che nell'incapacità di decidere vede le avvisaglie di un irreversibile «sgretolamento» dell'Unione.

Ma l'ambiguità della Turchia di Recep Tayyip Erdogan è esattamente la realtà che la Merkel e Juncker preferiscono ignorare. Forti con i deboli e deboli con i forti i due temono uno scontro frontale con quel presidente Erdogan diventato il vero portiere della rotta balcanica. E proprio per questo tentano di scaricare ogni colpa sui rissosi paesi balcanici. Anche perché, come sa bene una Merkel reduce da una visita ad Ankara, il «sultano» esige dall'Europa un contributo di tre miliardi di euro per impegnarsi a sigillare le frontiere.

Un ricatto che trascinerebbe ulteriormente nel ridicolo l'Unione.

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