Coronavirus

In Europa si sgretola il fronte "No sci". Ma l'Italia non aprirà fino a dopo l'Epifania

Oltre al distanziamento su funivie e ovovie, sarebbero difficili da gestire gli infortuni negli ospedali. Sono pochi, isolati e trasformati in strutture Covid

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C'è il fronte della Alpi in Europa, franoso nelle decisioni. C'è la trincea degli ospedali sotto pressione. Poi c'è la battaglia del buon senso. Uno skilift aperto sui monti non fa solo la gioia superflua di uno sciatore irriducibile, ma anche il bene del Pil di montagna, che in Italia vale l'11%. Una passeggiata semplice sulla neve, lo sci di fondo, una ciaspolata o un assaggio di scialpinismo (risalire i pendii con pelli antiscivolo sotto gli sci e poi scendere in neve fresca), purché «entry level» e accompagnati da guide o maestri, potrebbero risultare alternative «contagiose» solo quanto a salute e benessere. Uno sciatore di sci alpino, alias discesa - incauto o sfortunato, che nel suo slalom ai tempi del Covid, si procurasse anche solo un graffio che meriti un tour al pronto soccorso è, invece, un'opzione da evitare. Almeno in Italia: in Val D'Aosta, che rimane zona rossa, c'è un unico ospedale con un paio di centri traumatologici privati. In Valtellina il Morelli di Sondalo tornato ora solo Covid - è da tempo in fase di smantellamento, lasciando tutto sulle spalle di Sondrio. E sono solo due esempi.

Il vero slalom di fine 2020 è trovare la quadra giusta, forse la meno peggio, per una questione dove molte sono le ragioni e altrettanti i torti. Aprire la montagna gradualmente è la soluzione che in tanti invocano per non perdere in toto il periodo di Natale, che sui nostri monti vale dal 30 al 40% della stagione. A Roma sembrano, però, aver confuso lo sci con il dopo sci e la pista da discesa con quella da discoteca, caricando sul solo sci alpino tutte le colpe. Un fronte europeo no ski, tanto invocato dall'Italia, si è invece spaccato subito. La Svizzera procede ad impianti e frontiere aperte. Braccia aperte, quando si potrà, anche ai transfrontalieri della serpentina, nel nome dell'economia e del fatto che una giornata di sci mordi e fuggi non sposterà il contagio oltre confine. Dal 7 dicembre, l'Austria, dove il pil montano vale il 15%, pare intenzionata a passare direttamente dalla modalità lockdown a quella sci ai piedi. La Germania dove solo Baviera e foresta nera considerano la neve un oro bianco - vorrebbe una serrata, ma frau Angela Merkel deciderà dopo il 10 dicembre. Spagna, Andorra e Slovenia: qui per ora, più che il grido di Giuseppe Conte, poté la mancanza di neve. Dalla Sierra, ai Pirenei al Triglav non si sono nemmeno posti il problema: gli impianti apriranno appena possibile e la stampa tratta quasi con sorpresa la «ski battle» all'italiana. E allora la via media indicata da monsieur le presidént e dal premier Jean Castex sembra la più sensata. Allez Les bleus: in Francia sembrano intenzionati a permettere un Natale sulla neve, pur senza sci, mentre ieri alcune centinaia di operatori del settore hanno manifestato pro ski fra i monti Ecrins. Montagna sì, ma con prudenza. È la stessa idea che ha avuto la val Gardena e che ora molti, potrebbero imitare.

Qualunque sia la decisione che da Roma dove è compatto il fronte del no ski almeno fino a dopo l'Epifania troveremo nel prossimo dpcm, sotto il Sassolungo è già pronto un Covid hotel per le prime necessità dei contagiati e soprattutto un centro per uno screening rapido «con risorse e personale privato». Anche il consiglio regionale lombardo potrebbe accogliere la mozione di Michele Usuelli (Più Europa-Radicali) che vorrebbe aggiungere alle norme anti covid degli impianti un costante monitoraggio attraverso test antigenici da far gestire al soccorso alpino. Se i test fossero largamente disponibili potrebbe essere un ulteriore passo. Difficilmente, invece, conoscendo la loro mole di lavoro, Cnsas (soccorso alpino) potrà gravarsi anche di questa incombenza sulle piste. Soprattutto quando le piste e la montagna riapriranno in toto.

La battaglia continua.

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