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È faida nel Pd sul "tonno" di Zingaretti

Il leader incorona Callipo candidato. I veleni di Oliverio e dei dirigenti locali

È faida nel Pd sul "tonno" di Zingaretti

La tentata convergenza del Partito democratico sul nome dell'imprenditore Pippo Callipo come candidato alla presidenza della Regione Calabria, previo siluramento dell'attuale governatore Mario Oliverio, sta non solo provocando un terremoto all'interno dei democrat, ma allo stesso tempo ha fatto emergere veleni che parevano sopiti e che, al contrario, rischiano di macchiare l'immagine dello stesso «re del tonno» che ieri il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, è andato a trovare in Calabria e definito «unica personalità che può rappresentare l'unità e la forza dei calabresi».

A scatenare le nuove, roventi polemiche potenzialmente devastanti per le speranze elettorali zingarettiane, è stato l'sms che la deputata dem Enza Bruno Bossio (moglie dell'ex consigliere regionale Nicola Adamo, entrambi sponsor della ricandidatura di Oliverio), ha postato nella chat della direzione nazionale del partito proprio in vista della visita del segretario Pd in terra calabra. «Ho appena saputo - si legge nel messaggio della Bruno Bossio - che il segretario nazionale del Pd, che ha deciso di non venire in Calabria né per le primarie per il congresso nazionale né per le elezioni europee (forse perché preoccupato dalle indagini in cui è coinvolto il presidente della regione?) sarà nella mia regione per presentare e sponsorizzare il candidato civico del Pd Pippo Callipo».

Il messaggio della deputata del Pd continua: «Vorrei dire al segretario se a questo punto mette la stessa cautela (questa volta sì più che necessaria) che ha riservato agli altri, alla luce dei fatti riportati oggi, ma soprattutto nei mesi scorsi, su alcuni organi di stampa. Fatti, non opinioni, che riguardano il rinvio a giudizio per la morte di un operaio della sua azienda e le dichiarazioni di un pentito di mafia sui rapporti con il clan Mancuso di Limbadi».

Pietre, più che parole, che si agganciano, in primo luogo, alle accuse a Callipo per omicidio colposo in relazione alla morte di un operaio, Antonio Gaglioti, avvenuta nel 2015 in un incidente sul lavoro all'interno dello stabilimento di Pizzo Calabro dell'imprenditore, ma soprattutto a quanto dichiarato tempo fa da un collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, sanguinario killer delle cosche di Vibo Valentia, secondo il quale «un tempo, negli anni Novanta, Callipo non si poteva toccare perché protetto dal boss Luigi Mancuso, uno dei più potenti capimafia calabresi. Poi, con la benedizione del defunto boss di Serra San Bruno, Damiano Vallelunga, le cose cambiarono ed i Bonavota (malavitosi di Sant'Onofrio, nel Vibonese, ndr) pretesero il controllo assoluto del loro territorio». Dichiarazioni, quelle del pentito, che non solo confliggono con quelle di altri collaboratori di giustizia ma che sono già state liquidate dagli inquirenti come prive di riscontri.

Di fatto, però, quelle parole, sepolte da mesi di silenzio e che non sembravano più interessare nessuno, sono state ritirate fuori «ad orologeria» per una battaglia politica all'interno del Pd senza esclusione di colpi.

Non a caso Oliverio, scaricato da Zingaretti soprattutto per via delle sue numerose grane giudiziarie, ha dichiarato: «Non voglio immaginare cosa sarebbe successo se ci fosse stato un processo a mio carico per omicidio colposo con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro». E subito dopo: «Provo solo a ipotizzare cosa sarebbe accaduto se del sottoscritto avessero parlato alcuni pentiti di mafia».

E lo spettacolo è appena iniziato.

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