Cronache

Fallito lo sgombero di Casapound: blitz mancato al "palazzo nero"

Bloccato il sopralluogo della Guardia di Finanza nell'immobile occupato: «Se entrate sarà un bagno di sangue». Poi le smentite

Fallito lo sgombero di Casapound: blitz mancato al "palazzo nero"

Roma - Di abusivo al civico 8 di via Napoleone III non ci sono soltanto i misteriosi allacci di acqua, luce e gas, o l'occupazione dei sessanta vani del palazzo ma anche la scritta «Casapound» sulla facciata in stile ventennio che, a vederla dalla strada, sembra di materiale lapideo come si usava proprio nel Ventennio, ma che è stata aggiunta soltanto dopo il 2003 anno in cui lo stabile, di proprietà del demanio e assegnato al ministero dell'Istruzione, è stato occupato dalla formazione politica di estrema destra.

Ora quell'occupazione torna agli onori della cronaca dopo che un sopralluogo delle Fiamme Gialle e degli agenti della Digos, lunedì, è stato bloccato dagli stessi occupanti. Secondo le prime testimonianze sarebbero volate anche parole grosse. «Se entrate sarà un bagno di sangue» avrebbe annunciato uno degli esponenti di Casapound all'indirizzo dei militari mandati lì dalla Corte dei Conti a ispezionare i locali dell'immobile, per verificarne le planimetrie, per accertare insomma l'esistenza o meno di danni erariali. La visita della Guardia di Finanza, tra l'altro, era stata concordata. Eppure i finanzieri hanno dovuto comunque soprassedere e rinviare ad altra data l'ispezione. Le prime voci avevano parlato addirittura di minacce. Tanto che la parlamentare Alessia Morani (Pd) aveva subito firmato un'interrogazione per chiedere al ministro degli Interni Matteo Salvini di «far luce sulla gravissima vicenda di minacce ricevute dagli agenti della Guardia di Finanza al momento di entrare nei locali del demanio occupati abusivamente dai militanti dell'organizzazione Casapound». Il presidente della stessa formazione di estrema destra Gianluca Iannone getta acqua sul fuoco e parla di «ricostruzioni fantasiose». «Ci siamo limitati - dice - a concordare le modalità per un controllo nello stabile che avvenisse nel rispetto dei diritti delle famiglie in grave stato di emergenza abitativa che vi risiedono».

La replica della Corte dei Conti però puntualizza che se non c'è stata alcuna «minaccia esplicita» pur tuttavia «l'atteggiamento mostrato è stato di forte chiusura». Un'inchiesta del settimanale Espresso (marzo di quest'anno), aveva provato a quantificare questo «danno erariale» postulato dalla Corte dei Conti. Grazie all'aiuto di agenzie immobiliari della zona i cronisti del settimanale hanno immaginato una cifra che oscilla dai 250/300mila euro l'anno (dal 2003 a oggi). Eppure a tutt'oggi il Comune dice di non avere nemmeno l'elenco delle famiglie in «emergenza abitativa» rifugiatesi a via Napoleone III. Si sa poco e L'Espresso ricorda che tra loro vivono anche dirigenti di Casapound come lo stesso Simone Di Stefano che in occasione della sua candidatura nel 2013 aveva dato proprio il civico 8 come sua residenza anagrafica. Gli occupanti dello stabile che, ricordano ora i maligni, dista soltanto 700 metri in linea d'aria dall'ufficio di Salvini al Viminale, non hanno subito la stessa sorte delle famiglie di eritrei che la scorsa estate sono stati sgomberati da uno stabile di via Curtatone (sempre Esquilino). Allora in un'intervista al sito Affaritaliani.it Simone Di Stefano aveva però commentato: «Penso che sia stato giusto sgomberarli».

Il caso, intanto, potrebbe finire anche all'attenzione della Procura ordinaria proprio per la mancata ispezione dei pubblici ufficiali già concordata.

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