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Falsi medici e malati in fuga. In Africa lotta a Ebola nel caos

Il contagio si estende a Togo e Benin, i controlli fatti da dottori improvvisati, quelli veri scioperano per avere più soldi. Assalto a una clinica in Liberia, scappano 29 pazienti

Falsi medici e malati in fuga. In Africa lotta a Ebola nel caos

«Probabilmente dalle vostre parti non vi stanno raccontando proprio tutto. Qui a Lomè i casi accertati sono due, hanno sospeso il campionato di calcio, cancellato il concerto del rapper Poundy Cissé previsto per sabato scorso e in chiesa l'eucarestia ci viene somministrata dal sacerdote nelle mani». Ebola è arrivata anche in Togo, e nelle parole di Sika Akakpo, 31enne commessa di un negozio di abbigliamento della capitale, c'è apprensione. «Non è come la malaria che qui chiamiamo petit mal e che si può curare con una corretta profilassi. Ebola è il terrore dal quale non ci si riesce difendere».

Ai due casi segnalati in Togo si aggiunge quello del Benin, a Bassila, 220 chilometri a Nord della capitale Cotonou, mentre il Kenya decide di chiudere le frontiere. La malattia avanza, sequestra altri Paesi dell'Africa occidentale dopo aver colpito Guinea Equatoriale, Liberia, Sierra Leone e Nigeria con un atroce tributo di 1.145 morti e 2.176 casi di contagio. Bart Janssens, direttore delle operazioni di Medici senza frontiere, già lo scorso maggio aveva parlato «di un quadro fuori controllo. Le risorse per combattere l'epidemia iniziano a scarseggiare, come il personale medico. Arriverà una seconda ondata, con alcune aree che saranno messe a rischio soprattutto per le pessime condizioni igieniche in cui vivono gli abitanti». Le affermazioni del professor Janssens trovano purtroppo conferma nelle scene di vita quotidiana alle dogane di alcuni aeroporti di madre Africa. Prendete lo scalo «Gnassingbé Eyadema» di Lomè: il certificato internazionale di vaccinazione da febbre gialla viene ispezionato da un falso medico che dopo un paio d'ore sostituisce il camice con un giubbino catarifrangente per dirigere il traffico nei pressi dell'aeroporto.

Sono in parecchi tra Conakry, Lomé, Freetown o Abuja a passare scrupolosamente da cima a fondo i certificati sanitari dei viaggiatori in entrata e uscita, a provare la temperatura corporea, ad azzardarsi persino in visite sommarie, peccato che buona parte di loro non abbia frequentato neppure le scuole elementari. Anche questa è l'Africa, con il suo carico di improvvisazione e superficialità. Buona parte di chi contrae Ebola è convinta che il marabutto sia più efficace di un medico, e intanto l'epidemia dilaga e uccide.

Non c'è da sorprendersi quindi se una suora, posta sotto osservazione in ospedale a Lagos, sia evasa dal regime di isolamento per raggiungere la sua città natale, Enugu, a 300 chilometri di distanza. Stando al ministero per l'Informazione una volta a destinazione la religiosa è entrata in contatto con almeno altre venti persone, tutte messe in quarantena. Proprio il governo nigeriano, per sostenere la lotta contro l'epidemia, e sopperire alla carenza di personale sanitario, ha deciso di arruolare 800 volontari a Lagos. Medici e infermieri sono entrati in sciopero (di sei settimane) per ottenere un aumento di stipendio e migliori condizioni lavorative a fronte dell'aggressività del virus. «La gente ha ascoltato il nostro appello - ha commentato il ministro della Salute Onyebuchi Chukwu - abbiamo formato più volontari di quanti immaginavamo. Toccherà a loro individuare le persone che sono state a contatto con i malati, ma anche sistemare attrezzature, letti e oggetti vari degli stessi degenti». Più che monatti di manzoniana memoria sembrano davvero impavidi kamikaze, disposti per qualche dollaro al martirio e, probabilmente, a innescare nuovi casi di contagio. Un po' come il gruppo di uomini armati che sabato ha fatto irruzione in un centro di cura del virus a Monrovia, capitale della Liberia, saccheggiandolo e provocando la fuga di 29 malati. E mentre i ricoverati si aggirerebbero per la città creando una situazione da coprifuoco degna di un B-movie sugli zombi, alcuni tra i guerriglieri avrebbero contratto la febbre emorragica.

Intanto arrivano conferme circa l'identità del «paziente zero», ovvero quello all'origine dell'epidemia. Secondo i ricercatori sarebbe un bambino di 2 anni morto il 6 dicembre scorso in un villaggio della Guinea, al confine tra Sierra Leone e Liberia.

L'ubicazione avrebbe facilitato la diffusione del virus.

 

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