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Dopo Fedeli e Poletti scoppia la grana Lotti E ora Gentiloni trema

Se il braccio destro di Renzi dovesse saltare il futuro dell'esecutivo sarebbe già segnato

Dopo Fedeli e Poletti scoppia la grana Lotti E ora Gentiloni trema

Nella poesia dantesca il numero tre rappresentava la perfezione. Sette secoli dopo, lo stesso numero segna l'inizio di un incubo per il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Tre, infatti, sono i ministri che rischiano di concludere, con largo anticipo, l'esperienza di governo. Il 12 dicembre il premier ha giurato al Quirinale. Dodici giorni dopo, sono già tre le poltrone che traballano. Un primato tutto dell'era Gentiloni. In ordine di tempo, Valeria Fedeli, ministro dell'Istruzione, Giuliano Poletti del Lavoro e Luca Lotti dello Sport sono finiti sotto il fuoco delle polemiche per ragioni diverse. Il premier Gentiloni reggerà l'urto?

L'ultima bomba pronta ad esplodere tra le mani del capo dell'esecutivo investe il ministro dello Sport Luca Lotti, l'uomo più vicino all'ex premier Renzi. L'ingresso di Lotti che detiene anche le altre pesantissime deleghe all'Editoria e Cipe segna la continuità con il potere renziano a Palazzo Chigi. L'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio risulta indagato - come ha svelato ieri Il Fatto Quotidiano per rivelazione di segreto e favoreggiamento nell'ambito di un'indagine avviata dalla Procura di Napoli sulla corruzione in Consip. Lotti si difende, respingendo le accuse e chiedendo di essere ascoltato dai magistrati. Difesa d'ufficio a parte, la bomba resta tutta nelle mani di Gentiloni, pronta a deflagrare, scardinando la precaria tenuta di un esecutivo a termine. Le conseguenze potrebbero essere, politicamente, devastanti. Se salta Lotti, si rompe il patto tra Renzi e Gentiloni che mantiene in vita un governo con un futuro già segnato.

La vicenda Lotti ha avuto comunque il merito di allentare gli attacchi nei confronti del ministro del Lavoro Poletti: un caso non archiviato e spinoso sul piano politico. Sulla testa del ministro pende la mozione di sfiducia depositata dal M5S. Le dichiarazioni di Poletti sui giovani italiani («Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché questo Paese non soffrirà a non averli più tra i piedi») e la scoperta dei fondi statali dirottati al giornale diretto dal figlio Manuel hanno creato un certo imbarazzo nel Pd. I numeri in Parlamento per far lo saltare non ci sono, anche se bisognerà verificare la compattezza del Pd. La minoranza di Bersani e Speranza, da tempo, chiede un'inversione di rotta al governo sui temi del lavoro (via voucher e Jobs Act) e la sfiducia potrebbe essere l'occasione per la resa dei conti. A complicare ulteriormente la situazione di Poletti, ieri un'entrata a gamba tesa del presidente dell'Inps Tito Boeri. Il quale critica pesantemente il ministero del Lavoro accusandolo di esercitare «in maniera intimidatoria» il suo potere di vigilanza sull'istituto.

Infine, la scuola, il terreno su cui Gentiloni è incappato nella prima scivolata da premier. Valeria Fedeli è stata scelta per rimediare ai danni fatti da Stefania Giannini con la Buona scuola. Nemmeno il tempo di entrare nel nuovo ufficio e sono partite le richieste di dimissioni per il neoministro. Motivo? Avrebbe mentito nel suo curriculum, camuffando laurea e diploma. Il colmo per un ministro della Scuola che sembra avere le ore contate. Il premier Gentiloni, per ora, va avanti: tira dritto per la sua strada con la consueta pacatezza ma avverte il pericolo.

Il pericolo che l'esperienza a Palazzo Chigi possa essere più breve del previsto.

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