Cronache

"Il femore? Lo riparo con lo stent"

Una tecnica rivoluzionaria e la sostanza che rafforza l'osso

"Il femore? Lo riparo con lo stent"

Arrivano dal chirurgo ortopedico che opera i centenari notizie confortanti sulla medicina rigenerativa. «Sempre più spesso riusciamo a evitare le protesi e a ricostruire le fratture con cellule staminali, tessuto adiposo e piastrinico. Altre volte, grazie a una tecnica di mia invenzione, a ricomporre l'osso irrobustendolo». Lui è Rinaldo Giancola, milanese. Ex primario dell'ospedale San Carlo, professore alla scuola di Specialità dell'Università degli Studi e, direttore della clinica di Traumatologia geriatrica Mangioni di Lecco. Discuterà delle tecniche innovative e di un approccio di medicina integrata personalizzato sull'anziano al Congresso nazionale Aitog (Società italiana di Traumatologia e Ortopedia Geriatrica) da lui promosso, che si terrà a Milano oggi e domani all'Ambrosianeum, in via delle Ore, 3.

Perché la chiamano il medico dei centenari?

«Perché opero anche pazienti dagli 80 anni in su. Ho scelto di dedicarmi alle persone anziane che sono fra i pazienti più fragili e ricevo grandi soddisfazioni».

Ci illustra la sua tecnica?

«In caso di rottura del femore inserisco, attraverso un'incisione di due centimetri, una piccola vite cannulata che poi riempio di una sostanza a base di calcio che andrà a rafforzare l'osso. Una sorta di stent, invece che al cuore, alla gamba. Il tutto si risolve con un intervento mini invasivo, in anestesia locale, e non c'è bisogno di rimuovere nulla perché il corpo riassorbe le sostanze iniettate. Il risultato è che il paziente si troverà con un femore più robusto e si ridurrà il rischio recidive. Come se ci fosse del nuovo cemento attorno all'osso. In Italia si calcolano 90mila fratture l'anno. Bisogna poi considerare che dopo la rottura di un femore il 30-35% dei pazienti muore e solo il 30% ritorna a camminare».

Si conoscono le ragioni?

«Sono pazienti fragili. Molti faticano a riprendersi dopo un intervento in anestesia generale e con la prospettiva di dover affrontare una lunga riabilitazione. Entrano in gioco mille variabili: il temperamento, la depressione, la solitudine, talvolta durante gli accertamenti ospedalieri si scoprono malattie concomitanti. Per questo un approccio mini-invasivo e risolutivo può essere il più congeniale».

La soddisfazione più grande?

«Paradossalmente me l'ha data l'anziano che non ho operato. Perché la sua storia mi ha motivato a perseguire i miei obbiettivi. Mi presento a domicilio da un uomo di 95 anni che si era rotto il femore ed era immobile già da quattro mesi. Non avrei potuto operarlo. Era fragile e il periodo di allettamento troppo prolungato. Quest'uomo era senz'altro felice e molto ben accudito: aveva voglia di riprendersi. E ce l'ha fatta. Con l'aiuto della moglie e dei figli, con il passare del tempo, ha ripreso a camminare quando l'osso si è sistemato da solo. Per lui era importante tornare a muoversi autonomamente e non ha dato importanza al fatto di ritrovarsi con un arto leggermente più corto».

Ci sono invece casi in cui l'aspetto estetico è richiesto espressamente

«Sì. Soprattutto nelle donne che sono sempre state belle e curate. Si preoccupano della cicatrice, che non restino segni esteriori dopo l'operazione. Una paziente elegantissima, 75 anni, con il femore rotto mi chiese subito: Dottore vorrei tornare a indossare i miei tailleur Chanel, sarà possibile?. Una donna di 80 voleva indossare le scarpe con il tacco ma l'alluce valgo glielo stava rendendo impossibile.

Io le ho promesso che avrebbe potuto indossare di nuovo i tacchi».

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