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La fiera trasformata in succursale alcolica del Transatlantico

Invasione di campo

La fiera trasformata in succursale alcolica del Transatlantico

Verona - Che non sia un'apertura di Vinitaly qualsiasi quella di ieri ci vuol poco a capirlo. Basta affacciarsi nell'area accrediti per la stampa. I giornalisti di settore, abituati a emozionarsi al massimo per l'arrivo di Al Bano, sono straniti dall'idea di trovarsi per un giorno nella succursale alcolica del Transatlantico. Un cartello smista placidi colleghi che sanno riconoscere una Passerina da un Pecorino da una parte e quelli invece che al naso distinguono un grillino di rito dibattistiano da uno lombardiano. È un'invasione di campo lunga una domenica quella che si celebra in una Verona plumbea come da tradizione («al Vinitaly piove sempre», cassandrizza chi la sa lunga). Il Vinitaly è abituato alle passerelle dei politici, ma di solito si tratta di ministri senza portafoglio, di assessori senza bicchiere, di presidenti di Regione che la mattina hanno ripassato il nome di qualche vitigno autoctono da citare a memoria. Invece qui o si fa il Vinitaly o si muore, l'Italia attende un governo e l'impressione è che si potesse fare tra il padiglione 4 (Veneto) e il 6 (Friuli). «Speravo che uno tra Di Maio e Salvini passasse a bersi un bicchiere dei miei vini - ci confessa un produttore salentino con pragmatismo doroteo - ma invece niente, nemmeno la Meloni». O Franza o Spagna, purché se beve.

Ovunque troupe che girano, dappertutto codazzi di giornalisti politici passati dalla buvette all'Aglianico, che nei momenti liberi si fanno un bicchiere di un Supertuscan senza temere sia il soprannome di Renzi. La domenica più pazza del Vinitaly è passata.

Da oggi si torna a bere per dimenticare.

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