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La figlia è una scansafatiche Il giudice: "La mantenga papà"

Non lavora e non fa esami all'università. Il padre non vuole più pagare l'ateneo. Lei lo denuncia e il tribunale le da pure ragione

Foto d'archivio
Foto d'archivio

Pignora la pensione al padre che non vuole più mantenerla, nemmeno agli studi, perché lei non ha dato neppure un esame. Il Tribunale di Trento scrive un'altra pagina del libro sui bamboccioni (copyright dell'ex ministro Tommaso Padoa Schioppa), gli under 35 d'Italia.

Secondo l'istituto Doxa, i giovani che non ne volevano sapere di andar via di casa nel 2007 erano il 61%. Adesso sono il 66%. Sempre più spesso fanno causa ai genitori per vedersi riconosciuto il diritto alla paghetta, nonostante l'età non più tenera.

Qualche giorno fa a Rovereto una ventiquattrenne iscritta all'università con scarso profitto ha portato davanti ai magistrati il padre, autista in pensione della società provinciale dei trasporti.

Pretendeva, la studentessa con zero esami sin qui sostenuti, il rispetto dell'accordo stipulato in sede di separazione coniugale: 300 euro al mese a titolo di alimenti. Impegno onorato fino a quando la fanciulla aveva spento le 18 candeline e trovato un lavoro.

Una volta rimasta disoccupata e intrapresa la poco brillante carriera universitaria, ha ripensato forse con nostalgia a quel sussidio mensile, e spalleggiata dalla mamma ha pignorato il quinto della pensione al padre, contrarissimo a scucire quattrini per la figlia. Ma il giudice dell'esecuzione, chiamato a valutare la situazione, ha dato ragione alla signorina, dirottando sul suo conto corrente 150 dei quasi 800 euro mensili della pensione paterna.

«La somma dovrà essere versata sino a quando non sopraggiungerà l'indipendenza economica della beneficiaria», ha precisato il giudicante, rifacendosi paradossalmente ad un orientamento fissato dalla Cassazione. Che da genitrice affettuosa - e perciò severa - negli ultimi anni a mettere un freno alle pretese degli eredi mangiapane a tradimento ci ha provato, senza riuscire ad arginare del tutto l'estro creativo delle corti minori.

«L'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma permane fino al raggiungimento di un'indipendenza economica tale da essere in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita», avevano stabilito nel 2011 gli ermellini. Per questo, nel 2012, avevano bocciato l'istanza di un architetto che a 36 anni, rifiutato un incarico professionale dal papà imprenditore edile, una volta rimasto a spasso aveva tentato di ottenere giudizialmente il mantenimento, naturalmente a spese del capo famiglia. Principio applicato anche nell'estate del 2015, al momento di decidere sull'assegnazione della casa coniugale ad una madre che rivendicava l'abitazione coniugale perché ancora convivente con i pargoli di 46 e 47 anni.

«Richiesta irricevibile», s'era espressa nell'occasione la Suprema Corte, evidenziando come alcun diritto potesse essere vantato in nome dei figlioli ormai maturi, definiti in sentenza «persone adulte e nonostante la crisi economica in grado di assumersi la completa responsabilità della propria esistenza».

Non tutti i Tribunali, però, condividono. Quello di Roma ad esempio, nel 2013 condannò un padre separato a corrispondere gli alimenti alla figlia studentessa di medicina, sebbene convolata a nozze. Sulla stessa linea il Tribunale di Modena, che lo scorso aprile ha sancito l'obbligo del mantenimento in favore di un ventottenne già in possesso di laurea, ma desideroso di iscriversi ad un corso di cinematografia in un'altra città: per i giudici, sono da tutelare anche «le aspirazioni culturali del figlio».

Tanto, paga papà.

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