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La figuraccia di Di Maio. Non sa cosa dice il premier

Il grillino: niente scuse, niente vertice. Ma ignorava che il caso Aquarius fosse chiuso. Il pressing di "Dibba"

La figuraccia di Di Maio. Non sa cosa dice il premier

L'irresistibile discesa di Luigi Di Maio. Il leader dei Cinquestelle in affanno tenta la rincorsa per riagganciare la volata di Matteo Salvini e l'inaspettato guizzo di Giuseppe Conte. Nonostante sia uno e trino (nelle sue mani si concentrano tre ruoli chiave: capo politico del primo partito italiano, vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni) Di Maio è stato completamente oscurato dall'attivismo di Salvini, che gioca in attacco comportandosi da premier. Non solo. Persino Conte, giunto a Palazzo Chigi con il marchio del manichino sembra stia conquistando maggiore autonomia.

Ieri in poche ore Di Maio è riuscito ad accumulare un nutrito numero di gaffe. La prima, un congiuntivo sbagliato durante un discorso a Montecitorio, non farebbe neppure notizia se non fosse che Di Maio si è subito corretto: «Se non ci sarebbero state. Scusate se non ci fossero state». L'altra scivolata ha messo in luce il fatto che il vicepremier non era stato informato della telefonata intercorsa tra il presidente francese Emmanuel Macron e Conte che in sostanza aveva già deciso di scongelare l'incontro con il premier francese. Intervistato da Rtl Di Maio aveva tuonato «Finché non arrivano le scuse noi non indietreggiamo» per poi aggiungere una volta saputo della telefonata: «aspettiamo di sapere che cosa deciderà il presidente».

L'evidenza della subordinazione di Di Maio a Salvini è anche causa di malumore crescente nelle file grilline, soprattutto tra i duri e puri che non hanno mai digerito la sua leadership. E così ieri Di Maio ha tentato un contrattacco annunciando quello che sarà il suo primo provvedimento: un «decreto dignità per quattro categorie: imprese, delocalizzazioni, lotta alla precarietà e gioco d'azzardo» con riforma del Jobs Act. Di Maio poi ha cercato di prendere la distanze dal «suo uomo» Luca Lanzalone, coinvolto nell'inchiesta sulla costruzione dello stadio a Roma. «Lanzalone è una persona che ci aveva aiutato a salvare l'azienda dei rifiuti di Livorno, poi era stato brillante nella gestione dello sblocco della questione stadio» e per questo ha precisato «abbiamo deciso di premiare il merito per la sua preparazione amministrativa, affidandogli la presidenza della più grande municipalizzata». Ora Di Maio si dice addolorato e parla di un «equivoco», invocando le dimissioni di Lanzalone ma è evidente che si trova in difficoltà tanto da cancellare la sua partecipazione a Porta a Porta prevista per ieri, forse per timore di finire nel tritacarne dell'inchiesta.

Di Maio comunque assicura che Salvini non lo sta «fregando» e che con il leader leghista non c'è competizione: «ci stimiamo», dice il leader pentastellato che poi però si è visto costretto ad intervenire sulla questione del tetto al contante che Salvini ha annunciato di volere eliminare. «Nel contratto questo punto non c'è», ha tagliato corto. Ma sulla questione interviene pure tramite social Alessandro Di Battista: «Questa proposta, non essendo contenuta nel contratto di governo, non si farà». Ma allora non è che la spada di Damocle sulla testa di Di Maio non è Salvini ma piuttosto Di Battista? È lecito chiedersi: come si comporterebbe Dibba se fosse lui il vicepremier? Difficilmente si farebbe oscurare così dal leader leghista.

E allora torna a galla l'ipotesi: si manda avanti Di Maio a sminare il terreno e allo stesso tempo si depotenzia Salvini, che si sta prendendo molti rischi, per poi calare l'asso Dibba al momento opportuno.

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