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Fisco divora-stipendi: tasse sul lavoro 10 punti sopra la media europea

Allarme Corte dei Conti: il 49% delle paghe mangiate dalle imposte. Pmi, pressione al 64%

Fisco divora-stipendi: tasse sul lavoro 10 punti sopra la media europea

Tasse e contributi si mangiano circa la metà dello stipendio dei lavoratori dipendenti italiani. Per le imprese va anche peggio: lo Stato è il socio occulto che divora il 64,8% del reddito delle aziende. La fotografia della Corte dei Conti nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica è abbastanza impietosa. Quello che spaventa non sono i numeri il cui annuale riproporsi li fa diventare tristemente familiari, ma l'indifferenza della politica a una situazione potenzialmente esplosiva. Come ha sottolineato il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, denunciando l'inerzia dei propri colleghi. «Di fronte a noi rimane uno scenario pericoloso perché, in assenza di una robusta riduzione del debito, l'Italia potrebbe essere assoggettata al commissariamento della Troika», ha chiosato l'ex ministro del Lavoro evidenziando come questa situazione di ipertassazione sia il frutto ideologico di un ceto politico «impegnato a distribuire più che a produrre ricchezza».

Inviti totalmente inascoltati dai demoprogressisti (gli scissionisti bersanian-dalemiani del Pd) che oggi incontreranno il premier Gentiloni in ottica Def premettendo che «non sono utili ulteriori interventi di riduzione delle imposte» perché «tutte le risorse disponibili dovrebbero essere utilizzare per maggiori investimenti pubblici» per finanziare «un grande piano del lavoro e per l'ambiente». Come? Rinviando il taglio dell'Ires e reintroducendo l'Imu prima casa sugli immobili di pregio.

Ecco perché quella della Corte dei Conti è solo una vox clamantis in deserto. Il cuneo fiscale è il 49% del reddito, un livello che «eccede di ben 10 punti l'onere che si registra mediamente nel resto d'Europa». I dipendenti, insomma, vedono arrivare in busta paga poco più della metà di quanto versa il datore di lavoro. L'imprenditore italiano medio, invece, è soggetto a un total tax rate (oneri societari, contributivi, per tasse e imposte indirette) pari al 64,8%, un valore che «eccede di quasi 25 punti l'onere per l'omologo imprenditore dell'area Ue». A questo si aggiungono i costi di adempimento degli obblighi tributari che il sciur Brambilla deve affrontare: secondo la Corte dei Conti si sostanziano in 269 ore lavorative, il 55% in più di quanto richiesto al suo competitor europeo. Essere italiani e voler fare impresa in questo Paese non sono dunque un vantaggio competitivo, ma una palla al piede, una tassa.

La vera novità del rapporto 2017 è il fatto che i magistrati contabili abbiano scoperto anch'essi la validità della curva di Laffer che l'economista consulente di Reagan disegnava sui tovaglioli per spiegare che all'aumentare del prelievo fiscale il gettito diminuisce. L'esposizione tributaria in Italia, più alta rispetto alla media del resto dell'Europa (in Italia nel 2016 si è attestata al 42,9%), «non aiuta la lotta all'evasione». Tirata di orecchie anche sull'uso del Grande Fratello per aumentare il gettito. «La politica fiscale ha impresso forti accelerazioni alla dinamica delle entrate - ha scritto la Corte - ma non è stata efficace nel rafforzare il sistema tributario ponendo i presupposti per una riduzione della pressione fiscale».

La ricetta? È nota: ridimensionare la spesa pubblica e far calare progressivamente il debito senza creare scompensi nel sistema economico e produttivo. Ieri ad ascoltare queste parole c'era anche il ministro dell'Economia Padoan che ha preferito evidenziare solo gli aspetti positivi relativi alla dinamica di crescita del Pil.

Su tutto il resto non si può parlare perché è già cominciata la campagna elettorale di Matteo Renzi.

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