Politica

Fiumi di droga in curva e spacciatori allo stadio 18 arresti e 23 indagati tra gli ultrà dell'Atalanta

Nell'indagine spunta pure Francesco Buonanno, figlio del procuratore di Brescia

Curve in mano ai violenti, da sempre. Poi i violenti sono diventati balordi. E i balordi sono diventati criminali. Della mutazione genetica delle tifoserie italiane ci sono esempi eloquenti in molti grandi stadi. Ieri, all'attacco della commistione tra passione calcistica e affari criminali parte la Procura di Bergamo, facendo scattare una retata nel cuore della curva dell'Atalanta, roccaforte di estremisti del tifo noti da sempre per la compattezza, una massa interclassista di cinquemila persone unite da una sorta di culto pagano. In quella massa, dice l'indagine della Mobile di Bergamo e dello Sco (Servizio centrale operativo) della polizia, la cocaina era di casa: consumata, in abbondanza, prima delle partite e soprattutto prima degli scontri con la polizia e i tifosi avversari: sotto l'effetto della polvere, si legge nell'ordinanza, gli ultras si scatenavano «come se si sentissero invincibili». A controllare il traffico erano gli stessi capi della curva.

Undici di loro finiscono in galera, sette agli arresti domiciliari, altri ventitre indagati a piede libero. Tra gli incriminati non c'è il capo indiscusso da sempre della curva atalantina, Claudio Galimberti detto il Bocia, giardiniere di buona famiglia divenuto uno dei personaggi-icona della militanza da stadio a livello italiano e internazionale: la polizia lo aveva accusato in questa vicenda di «concorso morale» nello spaccio, ma la Procura è stata di diverso avviso.

C'è invece Luca Rota detto Paranoia, altro nome di spicco della curva, già finito sotto inchiesta per spaccio di droga qualche anno fa. È stato seguendo le sue tracce che Mobile e Sco hanno scoperto quanto fosse costante e diffuso lo spaccio di coca tra i supporter della «Dea». E diventa inevitabile ricordare la dichiarazione dell'Atalanta, quando - tra lo stupore dei magistrati - ritirò la querela contro una quarantina di ultras che avevano attaccato militarmente il suo centro sportivo, a Zingonia: «I ragazzi a suo tempo denunciati presteranno un'attività di volontariato nel campo del sociale alla Caritas diocesana bergamasca». L'inchiesta di ieri smentisce questa ottimistica previsione.

Era una delle poche tifoserie di estrema sinistra, quella atalantina, in un mondo dominato da fanatici del saluto romano. Poi, strada facendo, questa connotazione si è persa, soppiantata - raccontano le carte dell'indagine - da una prosaica propensione agli affari. La droga - non solo cocaina, anche marijuana e ecstasy - veniva smerciata direttamente allo stadio, al «Baretto» accanto, al benzinaio poco più in là, in un'altra manciata di locali a Bergamo e dintorni, ora chiusi d'autorità. E l'inchiesta ricostruisce in diretta l'agguato con cui Rota e altri ultras rapinano a uno spacciatore, Andrea Syll, due chili e mezzo di marijuana: «Sono pazzi, mi hanno portato via tutto!», racconterà la vittima.

Nelle pieghe dell'indagine, un dramma umano che è anche un problema giudiziario. Tra gli indagati a piede libero c'è un ragazzo che si chiama Francesco Buonanno, detto Checco, che regala cocaina in almeno cinque occasioni. Il problema è che Checco è il figlio del procuratore della Repubblica di Brescia, Tommaso Buonanno, competente per i reati di narcotraffico anche su Bergamo. Buonanno ha un altro figlio con problemi di droga, ed è stato inquisito e poi prosciolto dall'accusa di sequestro di persona per averlo fatto rinchiudere in una comunità. Ora i guai giudiziari, anch'essi per droga, dell'altro figlio finiranno inevitabilmente sul tavolo del Consiglio superiore della magistratura che sta valutando la sua compatibilità con la carica che ricopre a Brescia, già messa in discussione dall'esodo massiccio di sostituti procuratori verificatosi dopo il suo arrivo.

LF

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