Quirinale 2015

Il flop dei non Nazareni: l'asse Civati-Vendola muore prima di nascere

Nichi apre al M5S sulla scelta per il Colle ma i grillini lo gelano: non se ne parla. I ribelli Pd vanno in ordine sparso. E i renziani gongolano

Il flop dei non Nazareni: l'asse Civati-Vendola muore prima di nascere

Niente da fare, nemmeno i Cinque stelle - ed è tutto dire - prendono sul serio Pippo e Nichi e le loro astute strategie.

La storia è questa: Civati, eterno semi-scissionista del Pd, ieri ha partorito un'idea niente male, per far del male all'odiato Matteo Renzi sul Quirinale: «il candidato NN», dove NN sta per «non Nazareno». L'idea, subito sposata da Nichi Vendola che si trova a Milano per una conferenza programmatica che va sotto l'improbabile titolo di «Human Factor», dovrebbe servire a sparigliare i giochi, spiega Pippo: se una candidatura invisa a Renzi e a Berlusconi ma potabile a sinistra nascesse in Parlamento e trovasse fin dall'inizio una discreta base numerica, «costringerebbe tutto il Pd ad un dibattito vero», dividendolo e rendendo difficile al premier ottenere il risultato che si prefigge. Ovvio che servano altri voti, perché con quelli di Civati e Sel il povero candidato farebbe subito cilecca. Si è subito detto della partita anche Corradino Mineo, ma non sposta granché gli equilibri: di qui l'appello di Vendola ai Cinque Stelle, «se vogliono giocare questa partita e non vogliono replicare il copione delle belle statuine».

La tenaglia Pippo-Nichi non sembra allarmare troppo il Nazareno. «Auguri», manda a dire il presidente del Pd Matteo Orfini. Di lì a breve, i grillini li mandano in bianco: «Il nostro schema è chiaro - spiega il membro del direttorio casaleggiano Fico - aspettiamo una rosa di quattro nomi da Renzi», che sottoporranno al responso del sacro Blog. Perché poi quattro non è chiaro, ma tant'è: la sponda grillina viene meno nel giro di cinque minuti.

La - breve - fuga in avanti di Civati dimostra come le anime ribelli della minoranza Pd vadano ognuna per proprio conto, inseguendo obiettivi più o meno personali. E creando spesso notevoli danni ai dirigenti più in vista di quella parte che tenta assai faticosamente di guadagnare terreno togliendolo al dilagante Renzi: ieri, per esempio, l'incauto Stefano Fassina è stato isolato come se avesse l'Ebola dalla stessa minoranza Pd, che ha preso precipitosamente le distanze dalle sue accuse complottarde contro il premier «capo dei 101». «Gli è scappato il piede dalla frizione. Renzi non è stato il capo dei 101», lo liquida Gianni Cuperlo. Persino lo scatenato anti-renzista Francesco Boccia, dopo avergli dato del Califfo («Usa i metodi dell'Isis») ieri ha fatto dietro-front: «Rispetto a Fassina faccio un passo indietro. L'elezione del nuovo capo dello Stato è troppo importante per il futuro del Paese. Per questo dico ai compagni del Pd: prendiamoci per mano e fermiamoci prima del ciglio del burrone», manda a dire a Fassina & Co. Intanto il Giovane turco Stefano Esposito infierisce sugli ultrà: «I veri parassiti politici sono pochi, e Fassina è uno di questi: se tutti i giorni sputi nel piatto dove mangi, perché devi restare?».

I renziani gongolano: «Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli: più radicalizzano lo scontro e più aggregano i moderati della minoranza. Un capolavoro». La convinzione crescente, rafforzata dall'esito brillante del vertice Renzi-Merkel che è servito al premier a mostrare che sulla scena internazionale si sa muovere con successo senza tutele, è che i rischi di trappole da parte della minoranza Pd sul Quirinale siano assai diminuiti: la frantumazione interna alla sinistra non si è saldata su nessun obiettivo, finora. E il premier tende un ramoscello, annunciando che incontrerà Pier Luigi Bersani: «Voglio trovare un nome condiviso con lui». Lunedì Renzi riunirà i gruppi parlamentari del Pd, poi guiderà i colloqui con gli altri partiti.

La speranza è che già sabato mattina, tra una settimana esatta, il nuovo presidente sia eletto.

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