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Flop della fatturazione digitale: lo Stato continua a non pagare

Dopo più di un anno dall'introduzione della nuova misura i debiti della Pa con le imprese non sono ancora trasparenti

Flop della fatturazione digitale: lo Stato continua a non pagare

Roma - Immaginiamo di poter viaggiare nel tempo e di tornare indietro al 31 marzo 2015. Ritroveremmo il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, annunciare l'ennesima grande innovazione. «Da oggi la fatturazione elettronica è obbligatoria per tutta la pubblica amministrazione», ha detto il premier aggiungendo che «questo cambiamento epocale porterà grandi risparmi di tempo e denaro non solo per lo Stato (e parliamo di circa 1,5 miliardi di euro l'anno), ma anche per le aziende: un rapporto più semplice e più trasparente, con il controllo della spesa da parte dello Stato e con la certezza dei tempi di pagamento per le aziende».

A meno di 15 mesi di distanza la realtà è molto differente. La pubblica amministrazione, ha ricordato ieri la Cgia di Mestre, non conosce l'ammontare complessivo dei propri debiti commerciali. Eppure la fatturazione elettronica è stata introdotta proprio allo scopo di controllare amministrazioni centrali ed enti locali facendo sì che onorassero i propri debiti entro il termine previsto dalla normativa europea: 30 o al massimo 60 giorni. «Non c'è ancora un dato ufficiale», ricorda Paolo Zabeo della Cgia osservando che «l'indagine campionaria eseguita dalla Banca d'Italia, indica che la pubblica amministrazione, al 31 dicembre 2015, sarebbe debitrice nei confronti dei propri fornitori per 65 miliardi di euro, 35 miliardi dei quali riconducibili a fatture emesse da moltissimo tempo».

È una situazione molto singolare: i decreti legislativi che hanno attuato l'ultima riforma fiscale prevedono che attraverso la piattaforma elettronica creata ad hoc da Sogei le amministrazioni comunichino lo stock maturato alla fine di ogni anno entro il 30 aprile successivo. L'altro dato indicativo è rappresentato dai tempi medi di pagamento da parte della pa che l'anno scorso sarebbero risultati pari a 115 giorni, dunque ben al di sopra delle soglie fissate dall'Ue. Non è casuale che Bruxelles non abbia ancora archiviato la procedura di infrazione dell'Ue aperta contro il nostro Paese nel giugno del 2014 per i ritardi nell'onorare i debiti.

Nell'Unione l'Italia è prima per debito di parte corrente, cioè relativo alla spesa per acquisto di beni e servizi e non a quella in conto capitale. I dati Eurostat del 2015 evidenziano che i debiti commerciali della pa ammontano a 49 miliardi, in Germania a 35,1 miliardi, in Francia a 26,4 miliardi e in Spagna a 14,6 miliardi. «Sebbene gli ultimi tre governi abbiano messo a disposizione più di 56 miliardi di euro per abbassare lo stock, lo smaltimento dei debiti nel nostro Paese rimane ancora un problema irrisolto», ha commentato il segretario generale della Cgia di Mestre, Renato Mason, ricordando che «la procedura di infrazione è anche legata all'utilizzo di contratti-capestro con i quali la pa italiana limita gli interessi di mora che la direttiva Ue fissa al tasso Bce maggiorato di 8 punti percentuali».

Le amministrazioni locali, però, non sono le uniche pecore nere. Il Centro studi Unimpresa ha ricordato che i dati della Banca d'Italia evidenziano come il totale del debito delle amministrazioni locali (Comuni, Province e Regioni) sia passato da 107,6 miliardi di aprile 2014 a 92,01 miliardi di marzo 2016 in discesa di 15,5 miliardi (-14,5%). Il debito dello Stato centrale, invece, è aumentato di 96,6 miliardi (+4,7%) passando da 2.039,4 miliardi a 2.136,1 miliardi.

Secondo il presidente di Unimpresa Paolo Longobardi «se il governo intende intervenire sulla spesa pubblica deve aggredire i costi degli apparati centrali visto che la spending review finora non ha portato risultati concreti».

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