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Il flop M5s turba Salvini: l'alleanza adesso traballa

Il leader teme che il crollo rafforzi i malpancisti grillini. Gli effetti sui casi aperti: Diciotti e Tav

Il flop M5s turba Salvini: l'alleanza adesso traballa

Il successo in Abruzzo trova una doppia lettura ai piani alti della Lega. Da una parte c'è ovviamente la soddisfazione per il grande consenso raccolto da Salvini, ormai leader nazionale del primo partito italiano. Dall'altra però serpeggia preoccupazione per il flop dei Cinque Stelle, esito di un calo iniziato da mesi e che potrebbe continuare allo stesso ritmo. Il ragionamento del quartier generale leghista è semplice. Il governo nato dalla strana alleanza gialloverde che Salvini è intenzionato a far durare per tutta la legislatura, si regge su due gambe. Se una si rafforza ma l'altra invece cede, crolla tutto. Per questo il ministro dell'Interno ha subito lanciato dei messaggi chiari. L'exploit della Lega e il sorpasso sui Cinque Stelle «non cambia l'equilibrio del governo», «abbiamo firmato un impegno con gli italiani e questo impegno dura 5 anni», e quindi «anche con il 95% non cambio impegni presi con gli italiani».

Anche senza arrivare a scenari di rottura, l'indebolimento degli alleati di governo ha comunque un effetto destabilizzante per la maggioranza, già manifestatosi con le tensioni delle ultime settimane accompagnate dal rientro in campo di Di Battista, la leadership alternativa dentro il M5s a quella di Di Maio in caso di fallimento. In altre parole Salvini teme che il collasso dei Cinque Stelle, con la conseguente accusa ai vertici di essere stati cannibalizzati dalla Lega e di aver sbagliato a infilarsi in un governo con loro, possa esacerbare gli animi grillini, alimentando l'ala malpancista capeggiata dal presidente della Camera Roberto Fico, l'anima del M5s più di sinistra e perciò più insofferente all'abbraccio governativo con la Lega. Finora il dissenso è rimasto sottovoce e minoritario, ma il ribaltamento dei rapporti di forza tra M5s e Lega, soprattutto dopo le Europee, potrebbe rimettere in discussione tutto. Il timore riguarda poi i dossier caldi che aspettano al varco la maggioranza. Primo tra tutti il caso Diciotti, con l'autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell'Interno rispetto a cui il M5s è già dilaniato al suo interno tra giustizialisti e governativi (e con Di Maio che rimanda la decisione ufficiale sul da farsi).

Ma i punti di rottura tra Lega e Cinque Stelle sono molti. La Tav Torino-Lione, che per la Lega va fatta mentre per i grillini è inutile. E poi il braccio di ferro sul Venezuela, con i Cinque stelle attestati sulla linea della non ingerenza, quindi pro-Maduro, e invece il ministro dell'Interno schierato con la richiesta di elezioni di Juan Guaidò (proprio ieri il ministro ha telefonato al presidente dell'Assemblea nazionale venezuelana confermando «la dura presa di posizione nei confronti di Maduro e il pieno sostegno al percorso costituzionale per arrivare al più presto ad elezioni libere»). Un primo sblocco sembra arrivato con una risoluzione comune M5s-Lega che impegna il governo ad attivarsi per risolvere l'emergenza umanitaria in Venezuela e sostenere gli sforzi per arrivare a nuove elezioni presidenziali. Ma certo fibrillazione M5s non può che irrigidire i grillini e rendere più complicato un accordo con la Lega.

Ma sull'altro fronte Salvini è pronto a raccogliere i frutti di quanto seminato. A partire dalla Sardegna, dove si vota il 24 febbraio e dove in corsa per il centrodestra c'è un senatore eletto proprio con la sua Lega (è il segretario del Partito Sardo d'Azione), Christian Solinas. I nuovi rapporti di forza tra Lega e alleati di centrodestra, specie Forza Italia, danno a Salvini un ampio margine per imporre i propri candidati nelle sfide amministrative di maggio. Un caso da monitorare con attenzione sarà quello del Piemonte. Il vecchio accordo, preso quando Forza Italia concesse alla Lega di far correre Massimiliano Fedriga in Friuli-Venezia Giulia e Marsilio (Fdi) in Abruzzo, assegnerebbe agli azzurri il Piemonte, con l'eurodeputato torinese Alberto Cirio. Ora dalla Lega, forte del suo 32%, ragionando ad alta voce dicono che quell'accordo «è vecchio di un anno, e in un anno è cambiato tutto», anche le percentuali. Significa che la Lega vorrà un leghista anche in Piemonte? Se la risposta è no, è solo perché il candidato naturale, il capogruppo Riccardo Molinari, non può essere candidato perché condannato nella rimborsopoli piemontese (interdizione per 5 anni dai pubblici uffici).

Altrimenti, anche una corsa solitaria della Lega non sarebbe stata da escludere.

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