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Foto e fogli sparsi, la prima volta di Luca alla ribalta

Dal viaggio in treno all'autodifesa, la prova più dura per il braccio destro di Renzi

Foto e fogli sparsi, la prima volta di Luca alla ribalta

Roma Due cartelline attentamente distillate, scritte a mano martedì, su fogli bianchi sparsi, nelle lunghe ore del viaggio in treno da Bolzano a Roma, come testimoniato da una foto «privata» messa su Instagram dal suo portavoce. Due cartelline per il suo primo, e più difficile intervento nell'aula del Senato. «Per me è una prova importante», ha confidato agli amici.

«Proprio oggi mio figlio compie quattro anni», è una delle poche notazioni personali cui si lascia andare durante la sua breve autodifesa a Palazzo Madama. Forse a sottolineare, volutamente, l'amarezza di ritrovarsi a passare un pomeriggio a parlare di Consip tra insulti grillini e calci negli stinchi degli ex Pd, invece che a casa sua, a Firenze, a festeggiare il primogenito Gerardo. Nato, come ha ricordato, proprio nei giorni in cui «questa legislatura iniziava sotto pessimi auspici». A Palazzo Madama è arrivato nel primo pomeriggio, vestito e cravatta azzurro scuro, entrando dall'ingresso principale subito assalito dai cronisti. «Tranquillo? Certo che sono tranquillo», è l'unica battuta che si è lasciato sfuggire, prima di salire sui banchi del governo, affollati di ministri. Si è seduto tra Marianna Madia e il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Claudio De Vincenti, che faceva le veci di Paolo Gentiloni. Il premier avrebbe voluto esserci, ma gli impegni a Strasburgo prima e a Pistoia (col ministro della Cultura Franceschini) poi lo hanno costretto lontano da Roma. Assente anche Maria Elena Boschi, in Usa per una missione all'Onu. Gli altri c'erano tutti, da Padoan a Minniti, da Poletti alla Finocchiaro. Una presenza, in particolare, ha fatto piacere al ministro dello Sport messo sulla graticola, che lo ha confidato ai suoi: quella di Andrea Orlando, ministro della Giustizia e avversario di Renzi (e Lotti) al congresso Pd, che però non ha voluto far mancare la propria silenziosa solidarietà al collega. Ha ascoltato impassibile, al massimo inarcando un sopracciglio, il fiume di parole e - a volte - di improperi dei senatori. Ha atteso senza particolare nervosismo l'esito - scontato - del voto. «E questa è andata», ha sospirato, prima di tornare al lavoro.

Lotti, è noto, non ama le luci della ribalta, non ha smanie di protagonismo ed evita ogni volta che può di comparire. Ai giornalisti che lo scorso week end lo inseguivano fin dietro le quinte del Lingotto per cavargli una battuta sull'inchiesta e sulla mozione di sfiducia ha replicato con molti sorrisi e pochi monosillabi. Non è una novità: eccezione pressoché unica nel panorama politico italiano, da quando è a Roma ha dato rarissime interviste, e non ha mai messo piede in uno dei talk show tv ambitissimi dai suoi colleghi di ogni parte. Un'abitudine, quella a starsene defilato a lavorare ai dossier di governo o di partito (a lui, ad esempio, è affidata in questi giorni la complicata missione di preparare le liste per le primarie Pd), che ha dovuto rompere - suo malgrado - nelle ultime settimane, quando si è ritrovato investito dal polverone mediatico-giudiziario del caso Consip. Così, alla vigilia della discesa nella fossa dei leoni di Palazzo Madama ha lasciato che uscissero le sue foto sorridenti sulla neve dell'Alto Adige, giacca a vento blu e racchette da sci in mano, o con un cappelletto da baseball mentre visita il Museo Messner a Plan de Corones, realizzato da Zaha Hadid.

E la foto di lui, assorto sui fogli, mentre fuori dal finestrino del treno scorre l'Italia.

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